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Triennale Milano
wade
Bozza preparatoria del personaggio di WADE in due versioni, courtesy Optillusion

Dialogare con l’ignoto: intervista a Optillusion sul gioco WADE

16 luglio 2022
La prima di una serie di interviste ai protagonisti della Game Collection Vol. 2, a cura di Pietro Righi Riva, presentata in occasione della 23ª Esposizione Internazionale. Giulia Trincardi ha intervistato Yijia Chen e Dong Zhou di Optillusion.
Grossa parte della discussione sul nostro presente è incentrata sullo spazio e le sue definizioni. La pandemia ha costretto molte persone a contrattare ex novo la funzione della casa e a desiderare un nuovo incontro con la natura in quanto spazio opposto alla città. Inoltre, il nostro quotidiano è immerso nello spazio virtuale generato da social media, email, videogiochi e app di realtà aumentata – una sovrapposizione che modifica attivamente l'economia tra privato e pubblico, e che genera nuove forme non regolamentate di proprietà dei luoghi.
Se di spazio si parla tanto, l’atto in sé del passare tra un luogo e l’altro è invece spesso tralasciato – come se la demarcazione di confini escludesse inevitabilmente l’esperienza di qualsivoglia forma di varco. Eppure, mitologia, religione e filosofia – pratiche che, in modo diverso, si interrogano sul luogo oltre la vita – pongono da sempre l’accento proprio sul passaggio: la morte non come spazio ma come guado, come processo di confronto con l’inconoscibile.
Nel contesto della 23ª Esposizione Internazionale Unknown Unknowns. An Introduction to Mysteries, Triennale Milano presenta, nella seconda edizione della Game Collection, a cura di Pietro Righi Riva, l’opera interattiva WADE, progettata dallo studio di game design Optillusion, che sceglie di esplorare proprio l’intercapedine metafisica generata dall’oltrepassare, immaginandola come un “sottosopra” al contempo ignoto, familiare e surreale, attraversato da una corrente d’acqua misteriosa, opposta alla direzione che il personaggio (e con esso il pubblico) è chiamato a percorrere, e in cui si trova sempre più immerso.
WADE è privo di testi, ma chiede al pubblico di interagire con i suoi elementi in modo puramente esplorativo e intuitivo – liberandolo dall’illusoria sicurezza di un manuale di istruzioni.
Abbiamo parlato con Yijia Chen e Dong Zhou – rispettivamente 3D artist e game designer di Optillusion, di cui fa parte anche il programmatore Chen Mi – di come è nato WADE, di religione, di cosa significa “ignoto” per loro e di limiti e libertà intrinseci all’interattività.
Courtesy Optillusion
Grazie per essere qui, è un piacere conoscervi. Il tema della seconda Game Collection è Unknown Unknowns. Qual è stata la vostra reazione all’invito a partecipare alla Collection e cosa significa per voi “ignoto”?
Dong: La nostra prima reazione all’invito è stata di grande emozione, per entrambi, assolutamente. Riguardo invece a come interpretiamo il concetto di Unknown Unknowns, pensiamo che esistano due tipi di ignoto, uno esterno, “sopra” di noi – in altre parole l’universo e il mondo là fuori, spazi che l’umanità da sempre desidera esplorare per svelarne i misteri. L’altro è interno, dentro alle nostre menti. Dunque sì, l’ignoto ha in sé due aspetti. 
Yijia: Con WADE abbiamo iniziato prendendo in considerazione religioni diverse [e il loro rapporto con l’ignoto]. Molte religioni parlano, in qualche forma, di reincarnazione o di rinascita a una nuova vita dopo la morte – e la morte è l’ignoto per eccellenza, perché non ne facciamo mai esperienza in vita, nessuno di noi può raccontare l’esperienza della morte – dunque per ogni essere umano questo è l’ignoto in senso assoluto. Ovviamente anche il cielo è in un certo senso ignoto, ma possiamo comunque volare lassù e lo stesso vale per lo spazio: un giorno, plausibilmente, lasceremo la Terra per andare altrove. Ma la morte, o cosa viene dopo la morte, resterà inconoscibile per sempre.
Qual è stato il processo creativo che ha portato a WADE?
Dong: Per noi parte sempre tutto da un’idea, da una discussione a flusso di coscienza. Volevamo combinare questi due concetti di ignoto, quello legato allo spazio e quello legato alla mente. In Cina c’è un termine – Huang Quan – che indica il “dopo la morte” come uno spazio naturale. Questa è stata l’idea di partenza, ed è per questo che abbiamo messo il nostro personaggio in un fiume. Ovviamente, anche ragionare sul tipo di interazione, di meccanica del gioco, è stato importante. Abbiamo dedicato moltissimo tempo alla sua progettazione, fatto molti tentativi diversi – i videogiochi sono diversi da altri media perché permettono alle persone di interagire con qualcosa e per noi è importante permettere alle persone di capire da sole come interagire con ciò che facciamo.
I limiti di una piattaforma contribuiscono a  determinare il gioco stesso, in un certo senso, quello che puoi fare su un dispositivo mobile è diverso da ciò che permette di fare un joypad con molti tasti, ma immagino sia parte del processo creativo anche questo.
Dong: Sì, assolutamente! Dato che la app di Game Collection è disponibile per mobile, ci sono gesti specifici che puoi compiere – come trascinare un oggetto, o scorrere lateralmente. A prescindere, il nostro primo interesse era concedere la libertà di intuizione alle persone, senza fornire istruzioni. 
Yijia: Proprio per questo abbiamo anche scelto di non includere alcun tipo di parole esplicite o testo nel gioco. In molte culture esiste un concetto di “oltretomba” che magari ha nomi diversi, ma ha sempre una divinità che lo governa e un corso d’acqua che lo attraversa. Huang Quan (黄泉) in cinese significa “fiume giallo,” – anzi, è più corretto “sorgente gialla,” ma indica comunque un corso d’acqua – che i morti devono raggiungere e guadare. È un’immagine che torna ovunque nel mondo, pensa anche allo Stige della mitologia greca. Ogni persona avrà sentito almeno una storia simile sull'aldilà, quindi è un elemento ricorrente nell’immaginazione comune su come potrebbe essere la morte. Il processo per arrivare alle meccaniche di interazione è stato interessante anche perché avevamo inizialmente pensato di fare in modo che a ogni swipe sullo schermo corrispondesse un singolo movimento – poi abbiamo cambiato idea, perché abbiamo capito che rischiava di essere troppo frustrante per alcune persone, che sarebbe stata un’interazione difficile da controllare. Così abbiamo deciso di semplificarla.
Dong: Sì, sarebbe stata una faticaccia.
La vita è una faticaccia, d’altronde.
Yijia: Sì, sarebbe stata un’ultima fatica prima dell’inizio di una nuova vita.
WADE è una strana camminata in un non-luogo pieno di oggetti che galleggiano, che compi nei panni di un personaggio di cui non vedi il volto. Da dove nasce questa scelta?
Dong: È soprattutto una scelta che rende l’esperienza più immersiva. In molti casi, se il personaggio ha un volto, è meno facile immedesimarsi – ma se non ce l’ha, immagini automaticamente di essere tu. Abbiamo voluto lasciare spazio alle persone per immaginare: forse sono io, forse è qualcosa di strano. Le persone diventano subito curiose del suo aspetto, si chiedono come sarà, ma in realtà si scopre alla fine del gioco: quando entri nell’acqua del tutto, subito prima, puoi girarti e vedere il tuo volto – che è quello di un pesce. Volevamo creare questa sorpresa. 
Yijia: Puoi girarti prima degli ultimi momenti del gioco e vedere il volto del personaggio. Non so perché abbiamo scelto una testa di pesce, forse poteva essere qualcos’altro ma il pesce è stato il primo pensiero – e ci piaceva molto.
Bozza del percorso del personaggio, con indicazioni di movimento, courtesy Optillusion
Sono curiosa delle mani che compaiono nel gioco. Qual è il riferimento da cui siete partiti? 
Yijia: È un riferimento ad Anubi, alla mitologia egizia. Il gameplay a quel punto chiede a chi gioca di trovare un equilibrio di peso tra le piume e il personaggio—così come, secondo la mitologia egizia, il cuore di una persona morta era posto su una bilancia perché Anubi ne misurasse il suo peso. Le mani sono questo. 
Dong: Vorrei aggiungere che le mani che vedi nel gioco sono le mani di Yijia.
Sul serio?
Yijia: Sì, sono davvero le mie mani! Ho fatto un modello, ho fatto una foto della pelle delle mani e l’ho usata sul modello. Sono le mie mani, sono io il Dio che soppesa i tuoi peccati! 
È uno dei vantaggi di fare il game designer d’altronde, sei un po’ la divinità del mondo che crei.
Yijia: Vero!
Bozza del percorso del personaggio, con le mani di Yijia, ispirate alla mitologia del dio egizio Anubi, che lo sollevano, courtesy Optillusion
Guardando al trailer del gioco che avete fatto in precedenza, Moncage, ho notato un elemento comune a WADE: la sospensione, gli oggetti che galleggiano come se non esistesse gravità. Cosa rappresenta la sospensione, da un punto di vista di design e narrazione
Yijia: La sospensione significa rottura di equilibrio. Significa libertà. Moncage racconta il rompere una gabbia e trovare libertà, la sospensione significa che manca un passo soltanto alla libertà, che siamo molto vicini a liberarci.
Non è lo stesso in WADE, giusto?
Yijia: La sospensione di WADE avviene nell’acqua, è legata al seguire la corrente – sei in un fiume e stai camminando seguendo la corrente, verso l’inevitabile: il galleggiare sospeso di WADE è più legato all’idea di andare “ovunque ci porti la corrente.” Mentre in Moncage la sospensione equivale a liberarsi dalla gravità, in WADE una forza invisibile che ti spinge in avanti c’è sempre.
Bozza della parte finale del percorso del personaggio, ambientata in uno scenario in bianco e nero che ricorda lo spazio profondo, courtesy Optillusion
Pensate che l’assenza di gravità – di cui in fondo facciamo esperienza anche nell’acqua – sia intrinsecamente malinconica?
Yijia: In un certo senso sì. Per la maggior parte del tempo, abbiamo i piedi piantati a terra. La terra ci sostiene, la Terra è la nostra casa e la gravità ci tiene qui. Quando la gravità scompare, otteniamo una libertà maggiore, ma di fatto non c’è più niente che ci tiene ancorati alla casa che conosciamo. È un biglietto di sola andata: se raggiungiamo la libertà, non possiamo più tornare indietro.
Un autore italiano del secolo scorso, Giovanni Verga, parla di qualcosa di simile nelle sue opere, raccontando che l’ostrica, una volta che si stacca dal suo scoglio, non può più riattaccarsi
Yijia: Esatto, ed è la parte triste del processo. Una volta che ci liberiamo, non torniamo più.
Il personaggio di WADE glitcha di tanto in tanto e in quei glitch appare con indosso una tuta da astronauta. Da dove origina questa scelta?
Dong: La scelta della tuta spaziale è legata all’ultima parte del gioco—quella in bianco e nero che evoca lo spazio e dove il personaggio appare vestito come un astronauta. Con i glitch nella prima parte, volevamo semplicemente dare al pubblico un’anteprima di quella parte, un’eco.
Però, abbiamo detto, per voi lo spazio non è l’ignoto definitivo, giusto?
Dong: Esatto, per noi l’ignoto definitivo non è lo spazio, è la mente. Le persone possono immaginare l’intero universo, possono immaginare anche oltre l’universo—quindi l’interno della mente è il vero ignoto definitivo, perché, in un certo senso, contiene ed è più grande dell’universo. Inoltre, non sappiamo quasi nulla della mente umana. Certo, l’universo è enorme—infinito!—ma con formule e ipotesi stiamo imparando a capirne delle parti, a indovinare e trovare conferme nei calcoli. Ma non puoi indovinare come funziona la mente umana—quello è il vero ignoto.
D’altronde, c’è chi dice che l’universo intero sia una simulazione creata dalla nostra mente, no?
Yijia: Ahahah, esatto! È del tutto possibile che sia così! E in tal caso, l’universo sarebbe solo una delle possibili spiegazioni della nostra coscienza. Il punto, comunque, è che non possiamo immaginare le cose che non sappiamo, ma non possiamo neanche sapere se sappiamo davvero qualcosa—quindi per noi l’ignoto definitivo siamo noi stessi, perché spesso non sappiamo proprio cosa succede.
Quasi sempre non sappiamo cosa succede.
Yijia: Già, è vero. Quasi sempre.
Bozza della parte finale del percorso del personaggio, con indicazioni di interazione, courtesy Optillusion