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Triennale Milano
Rimozione attiva di detriti, © ESA–David Ducros, 2016

Le università milanesi e il mistero. Unknown Unknowns… in space

5 ottobre 2022
Nell’ambito del percorso di approfondimento dei temi di Unknown Unknowns. An Introduction to Mysteries, 23ª Esposizione Internazionale di Triennale, abbiamo coinvolto a partire da giugno 2021 ricercatori, dottorandi e studenti delle università milanesi e la rete delle comunità straniere in una serie di incontri e seminari organizzati e coordinati da Pupak Tahereh Bashirrad, architetto e dottore di ricerca.
Da sempre l’anelito umano è proiettato all’esplorazione, lo testimonia ad esempio un poema antico come l’Odissea. Questo slancio verso l’ignoto si unisce a un altro aspetto inalienabile che spinge l’uomo ad alzare lo sguardo e a ricercare negli astri, nello sconfinato sconosciuto che è l’Universo, il motivo della propria  esistenza, come descrive Leopardi ne Il Canto Notturno di un Pastore Errante dell’Asia. Nell’ottobre del 1957, con lo Sputnik 1, l’umanità ha  iniziato a popolare questo sconfinato sconosciuto. In pochi anni, la corsa allo Spazio ha portato l’uomo a mettere piede sulla Luna, concretizzando ciò che Jules Verne aveva raccontato ne Dalla Terra Alla Luna.
Nel corso degli anni, l’universo sconosciuto si è popolato di oggetti conosciuti che oggi forniscono una moltitudine di servizi essenziali alla società moderna: i satelliti. Le loro costellazioni sono ormai essenziali per le telecomunicazioni (telefonia e internet) e per monitorare il cambiamento climatico del Pianeta, misurando le variazioni delle calotte polari, la temperatura degli oceani e le deforestazioni. Sono fondamentali anche per diversi servizi di navigazione e posizionamento, fornendo supporto e tracciamento alle rotte aeree e marine, e agevolando lo spostamento di persone e merci. Si stima che, attualmente, la massa totale di tutti gli oggetti spaziali in orbita terrestre sia superiore alle 9.800 tonnellate.
Monitoraggio degli oceani da parte del satellite CryoSat, © ESA/CNES/CLS
Tuttavia, come tutti i dispositivi, anche i satelliti arrivano a fine vita. Diversamente però da un qualsiasi apparecchio che, terminata la sua funzione, viene smaltito, i satelliti rimangono in orbita per tempo indefinito senza più essere controllabili: ciò che prima era un oggetto conosciuto diventa un oggetto sconosciuto e pericoloso, rischiando di scontrarsi con altri dispositivi ancora operativi. Le alte velocità di impatto (fino a 11 km/s) possono creare parziali danni alle strutture, o addirittura causare migliaia di frammenti, che costituiscono, a loro volta, ulteriore pericolo. Ne deriva un pericoloso effetto a catena, noto come sindrome di Kessler, che in futuro potrebbe rendere lo Spazio inutilizzabile. Questo scenario  accade nel film Gravity (Cuarón, 2013), in cui un susseguirsi di frammentazioni mette in pericolo gli stessi astronauti della Stazione Spaziale Internazionale.
Danneggiamento al Canadarm2 della Stazione Spaziale Internazionale, causato da un detrito spaziale, © NASA/Canadian Space Agency
I satelliti (conosciuti) diventano detriti (sconosciuti): vanno quindi intraprese azioni volte a riconoscerli. Questo può avvenire attraverso il monitoraggio da Terra, con stazioni laser, radar e ottiche, oppure con il riconoscimento in orbita, che permettono il tracciamento di 22300 detriti. Una volta riconosciuti, bisogna rimediare al pericolo che rappresentano. Le azioni più importanti sono volte alla prevenzione della collisione con satelliti operativi e al monitoraggio in fase di  rientro verso la Terra, per evitare che impattino con aree densamente popolate.
A causa dei limiti tecnologici, non tutti gli oggetti possono essere osservati dalla Terra. Si rende quindi necessaria l’introduzione di modelli che portino ad avere una stima del numero, delle dimensioni e delle posizioni di questi oggetti sconosciuti. Grazie a questi modelli, si calcolano almeno 34.000 oggetti con dimensione superiore ai 10 cm, 900.000 oggetti con dimensione compresa tra 1 cm e 10 cm, e 128 milioni di oggetti con dimensione compresa tra 1 mm e 10 cm. Attualmente sono presenti alcune linee guida per cercare di contenere il proliferare dei detriti, come la richiesta di far rientrare i satelliti non più operativi in un tempo fissato, o di confinarli nelle ‘’orbite cimitero’’. Inoltre, negli ultimi anni, è in corso di studio la possibilità di rimuovere i detriti in maniera attiva, cioè catturandoli e trascinandoli a Terra.
Al di là dei detriti spaziali, cosa ci aspetta in futuro? Il primo passo è tornare là dove siamo già stati, per conoscere nuovamente e meglio ciò che è stato incontrato in passato. Diversi enti di ricerca stanno programmando future missioni sulla Luna, non per conquistarla ma per poter analizzare in ambiente di microgravità fenomeni ed esperimenti che già oggi sono sviluppati a bordo della Stazione Spaziale Internazionale. Inoltre, diversi studi vogliono dimostrare la possibilità di vivere e coltivare in un ambiente all’apparenza ostile e sterile come il suolo lunare. Un esempio di missione futura sulla Luna è il lander ALINA, studiato dalla Planetary Transportation Systems.
Modulo di atterraggio della missione ALINA, © PTScientists
Il secondo passo è conoscere meglio lo Spazio per salvaguardare “casa nostra”. Ogni anno, in prossimità della Terra, passano decine di asteroidi abbastanza grandi da distruggere un’intera città; nonostante la probabilità di impatto sia bassa, è bene essere preparati ad affrontare eventualità che ricordano film come Armageddon (M. Bay, 1998). Per fermare un asteroide, bisogna innanzitutto conoscerlo, individuarlo con dispositivi ottici (analogamente a quanto fatto per i detriti), e poi farne cambiare la rotta. Strategie per la deflessione di asteroidi sono attualmente in fase di studio e sperimentazione. Una prima strategia sarà testata dalla missione DART della NASA nel tentativo di deviare un asteroide impattandolo a grande velocità con un satellite. Un fattore determinante nel successo di queste missioni è la conoscenza delle caratteristiche fisiche dell’asteroide; per questo, studiarne la composizione e la struttura è di fondamentale importanza. La missione Hayabusa 2, lanciata dall’agenzia spaziale giapponese JAXA ha permesso di analizzare e raccogliere campioni di un asteroide, il 16273 Ryugu.
Momento dell’impatto con Ryugu e della raccolta di campioni di asteroide da parte della missione Hayabusa 2, © ISAS/JAXA
Diversi enti di ricerca in tutto il mondo si occupano oggi di studiare queste problematiche e di scoprire l’Universo. Il dipartimento di Scienze e Tecnologie Aerospaziali del Politecnico di Milano è conosciuto in tutto il mondo come ente di eccellenza in questo ambito. In particolare, il gruppo COMPASS si occupa prevalentemente di studiare servizi per la Terra, soluzioni per mitigare le problematiche legate ai detriti in orbita e future missioni su asteroidi. In un ambito più operativo, il gruppo S4U è specializzato nello studio di tecniche e strategie per la sorveglianza dello Spazio, per attività condotte sia da Terra che in orbita. COMPASS e S4U collaborano oggi con diversi enti nazionali ed europei e con le maggiori agenzie spaziali internazionali.
È inevitabile porsi la domanda: una volta conosciuta questa vastità immensa, cosa faremo? Perché, da ingegneri, sappiamo che, citando H. Spencer, “Lo scopo supremo dell’istruzione non è l’erudizione, ma l’azione”. Come accennato prima, alcune suggestioni portano a immaginare una colonizzazione stabile della Luna, o miniere sugli asteroidi, o ancora la trasformazione di Marte in un pianeta abitabile (operazione nota come Terraforming), con foreste, laghi e oceani.
Questi schizzi abbozzati di un possibile futuro non possono che fare risuonare le parole di Eugenio Montale in Ossi di Seppia: sotto l'azzurro fitto del cielo qualche uccello di mare se ne va; né sosta mai: perché tutte le immagini portano scritto: " più in là "!
Crediti
Articolo a cura di Marco Felice Montaruli, Andrea Muciaccia, Francesca Scala, Politecnico di Milano.