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Triennale Milano
Kolmannskuppe, Namibia, James Kerwin Photographic, ph. Wikimedia Commons

Le università milanesi e il mistero. Liminalità, tra fare casa altrove e il prendersi cura

10 novembre 2022
Nell’ambito del percorso di approfondimento dei temi di Unknown Unknowns. An Introduction to Mysteries, 23ª Esposizione Internazionale di Triennale, abbiamo coinvolto a partire da giugno 2021 ricercatori, dottorandi e studenti delle università milanesi e la rete delle comunità straniere in una serie di incontri e seminari organizzati e coordinati da Pupak Tahereh Bashirrad, architetto e dottore di ricerca.
Dai suoi albori, l’antropologia culturale ha avuto a che fare con lo sconosciuto come ciò che non sappiamo di non sapere: l’Altro e l’alterità culturale sono rivelatori non solo di differenti modalità di dare senso al mondo, ma anche del fatto che non vi è una modalità universale di dare senso all’umano, alle idee di mascolinità e femminilità, alle idee di cura dal male e di benessere. Tanto più nel mondo contemporaneo, conoscere quello che non conosciamo,  – tra super diversità metropolitana, comunità transnazionali e rifugiati, e processi di lancinante disuguaglianza della globalizzazione – ha accentuato il ruolo dell’antropologia come traduzione di diversità culturali ma anche come riconoscimento delle somiglianze inaspettate, che “non sapevamo di non sapere”. L’antropologia nel contemporaneo mostra come le culture non siano autonome, indipendenti, impermeabili, “già conosciute”, ma interdipendenti, fragili, incomplete: la stessa nozione di diversità culturale è da scoprire continuamente anche nelle dinamiche in atto in una  città come  Milano.
Ph. by Caroline Selfors on Unsplash
Tante cose che sappiamo “non le vogliamo sapere”, come le forme di esclusione e di violenza strutturale di chi è obbligato a muoversi. Su queste tre linee messe in evidenza segue il percorso comune delle nostre appassionate ricerche in corso, partendo dal “fare casa a Milano” di comunità egiziane, anche ai tempi della pandemia da SARS-CoV-2, e dalle relazioni di cura e vulnerabilità; continuando con i flussi di modelli di cura e di pratiche della medicina cinese, passando anche per Milano; guardando, in seguito, a come i migranti senegalesi affrontano e interpretano la sofferenza psichica e il senso di fragilità e precarietà della vita; concludendo, infine, con due ricerche sui Pashtun Afghani e la loro “liminalità”: nel modo in cui si ridefinisce la mascolinità nei contesti di precarietà, come nel caso di Milano, e la temporaneità permanente e le forme di violenza strutturale tra i richiedenti asilo in Germania.
Genere, “fare casa” e pratiche di cura tra gli egiziani a Milano durante la pandemia di SARS-CoV-2 di Marta Scaglioni
La mia ricerca si muove tra l'antropologia del Medio Oriente e lo studio delle diaspore arabe: collaborando con il progetto TAAD (The Ageing African Diasporas – Fondazione Cariplo) ho seguito le traiettorie della diaspora egiziana a Milano. Negli ultimi due anni gli egiziani – una delle prime comunità a installarsi sul territorio – si sono trovati a fronteggiare il pericolo invisibile e sconosciuto della pandemia da SARS-CoV-2: molti sono morti o hanno subito conseguenze economiche gravi, essendo impiegati nel settore della ristorazione, tra i più colpiti economicamente. Data la situazione emergenziale, ho analizzato le concezioni legate alla vecchiaia e all’invecchiamento, le conseguenti idee di vulnerabilità e rischio, i rapporti di genere e le pratiche di cura all'interno delle famiglie egiziane, che sono necessariamente cambiati per far fronte all'ignoto e all’invisibilità della malattia. I membri della comunità egiziana hanno articolato idee islamiche legate a pratiche concrete di gestione degli spazi interni dell’ambiente domestico, portando comunque  sostegno e cura fuori dalle mura di casa grazie ad  attività di volontariato.
Distanziamento sociale nelle moschee durante il COVID-19, Ashashyou, ph. Wikimedia Commons
Medicina tradizionale cinese tra Milano e globale di Daniele Mario Buonomo
La medicina cinese nasce e si sviluppa all’interno della cultura classica cinese dove filosofia, religione e medicina, in quanto parte di uno stesso sistema di pensiero, non hanno confini netti. Anche se può apparire oggi come un corpus ben definito, la medicina tradizionale cinese (MTC) è in continua trasformazione. Questo processo, dalla sua creazione a oggi, è avvenuto e avviene sia a livello globale che locale, attraverso il contatto con medicine altre – con la bio-medicina in particolare – e con pratiche e conoscenze diversificate, dando così alla luce forme sempre più ibride e in continuo mutamento. Prodotta in Cina, la MTC circola nel mondo grazie alle mobilità di praticanti e medici, i quali acquisiscono nuovi repertori di conoscenze che influenzano in maniera crescente le pratiche. La MTC, quindi, muta seguendo il ritmo della circolazione di saperi, risorse mediche, pratiche e praticanti nel mondo. Ciò dimostra la pluralità e il sincretismo delle pratiche mediche che attraversano i campi medici transnazionali della globalizzazione. Ma quali e quante forme assume, nel XXI secolo, la medicina tradizionale cinese? Si può considerarla davvero una medicina “tradizionale” o, dato il suo ampio utilizzo in tutto il mondo, deve essere piuttosto definita come “moderna”? L’antropologia ci fornisce gli strumenti per rispondere a queste domande, permettendoci di far luce sui nostri “unknown unknowns”.
Antica statua di agopuntura, Emperor College, ph. Liana Aghajanian
Fragilità e sofferenza psichica in contesto di migrazione di Yassin DIA
Fare esperienza della liminalità include l’intreccio di tensioni complesse. Come molti studi antropologici ricordano, la condizione liminale racchiude in sé una potente spinta trasformatrice. Dall’altro lato, però, comporta incertezza e vulnerabilità. Che cosa accade quando questa condizione – per definizione transitoria e generatrice di cambiamento – si trasforma in un vero e proprio stato di immobilità? Quest’ultima condizione ben si presta alle esperienze di vita della popolazione migrante, spesso intrappolata in situazioni socio-economiche precarie e in posizioni giuridiche fragili, quando non addirittura irregolari. Queste fragilità, oltre a potersi dispiegare lungo un prolungato periodo di tempo, possono determinare l’insorgenza di forme di sofferenza psichica, a cui segue la nascita di articolati e complessi percorsi terapeutici. Fra questi, alcuni convocano strategie e tecniche di cura che varcano i confini nazionali, in particolare quelli del Paese di immigrazione. I percorsi terapeutici intrapresi dalla popolazione migrante sono dunque connotati da importanti spinte transnazionali, al loro interno trovano ampio spazio diverse forme di mobilità e i legami tra il Paese di origine e il Paese di destinazione. 
Agopuntura, Die Chinesische Medizin, 1929, Wellcome Library, London.
Mascolinità liminale, geografie della mascolinità, patriarcato transnazionale. Uomini, migrazione e mascolinità liminali tra i migranti di etnia Pashtun in Italia di Yasir Khan
Una forte aspirazione, tra i giovani uomini di etnia Pashtun (un gruppo etnico che vive prevalentemente in Afghanistan e in Pakistan) induce a desiderare la migrazione all’estero, a causa di fattori come la guerra, il terrorismo e le opportunità economiche limitate. La lunga storia di migrazione tra i Pashtun ha prodotto infine una “cultura della migrazione” in cui le celebrazioni in occasione delle partenze sono diventate la norma e hanno incoraggiato ulteriori spostamenti. La migrazione gioca un ruolo strumentale nel permettere agli uomini Pashtun di provvedere alle loro famiglie e a riconfigurare la loro mascolinità. Ciononostante, la migrazione, evento di transizione da un Paese a un altro, posiziona questi giovani uomini in un “contesto liminale e incerto” (sia in senso pratico  che a livello soggettivo) tra una struttura vecchia e una nuova, dove essi ricostruiscono e rinegoziano il loro senso di mascolinità. Gli uomini Pashtun in Italia, dato lo status di migranti, sono sospesi in un contesto liminale che crea rottura nella propria posizione, nel proprio senso del luogo e nel proprio potere all’interno della struttura sociale italiana, necessitando una rinegoziazione e in riposizionamento all’interno della nuova struttura sociale, per ripristinare la propria “agency”. Diventano anche consapevoli che la mascolinità non è un dato di fatto ma che è contestuale; e di quando, dove e come le differenti forme di mascolinità possono essere performate. Nonostante ciò, per navigare la liminalità e costruire dei sé continui e stabili, questi uomini usano strategie differenti come: la continuità attraverso la stabilità, la continuità attraverso la resistenza e la continuità attraverso la crescita. Nella prima strategia, la continuità attraverso la stabilità, alcuni uomini hanno costruito dei sé continui all’interno di contesti difficili e in mutamento. Nella seconda, continuità attraverso la resistenza, il sé maschile viene costruito attraverso la resistenza, resistendo il contesto “presente” a favore di quello passato. Nella terza, gli uomini riconoscono dei cambiamenti nella loro personalità o comportamento.
Ragazzo di etnia Pashtun, ph. Wikimedia Commons
La provvisorietà permanente dei rifugiati afghani: la liminalità  di Ashfaq Khan
Liminalità deriva dalla parola latina limen e significa “soglia”. Lo spazio liminale è localizzato nel mezzo. Esso marca il luogo, il confine o la linea dove un passaggio può essere creato da uno spazio all’altro. Nella liminalità la transizione delle vite delle comunità da una condizione vecchia a una nuova, così come da una posizione sociale a un’altra, viene impedita o non è in grado di essere compiuta con successo. Le mie ricerche analizzano le crisi di identità dei rifugiati, la radicalizzazione religiosa, la depressione e l’ansia mentre si vive in uno stato di provvisorietà permanente sulla base del “permesso di soggiorno tollerato” in Germania. Questo viene garantito a quei rifugiati che stanno per essere deportati al loro Paese di origine ma la loro deportazione viene sospesa per condizioni come malattia, gravidanza, mancanza di alcuni documenti, per potersi prendere cura di parenti vicini che subiscono particolari trattamenti medici o a coloro i quali sono impegnati in formazioni professionali. La liminalità è una “provvisorietà permanente”. In generale, la migrazione dei rifugiati verso la Germania accade per motivi di guerra o ragioni socio-economiche, religiose o politiche. La maggior parte dei rifugiati vive in una condizione di provvisorietà permanente a causa delle lunghe attese per il permesso di soggiorno e per il colloquio per l’assegnazione dello status di rifugiato. La situazione di provvisorietà permanente conduce i rifugiati a un’esperienza della religione più intensa, specialmente durante il periodo di deportazione. Allo stesso modo la provvisorietà permanente provoca tendenze violente, rabbia e intenzioni suicide, data la loro condizione in cui per anni essi vedono il proprio futuro a tinte fosche e ciò li esaurisce pian piano. 
Ph. by Rowan Freeman on Unsplash
Crediti
Articolo a cura degli studenti del DACS, Dottorato in Antropologia Culturale e Sociale, Università di Milano "Bicocca"