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Triennale Milano
bonafini
Bea Bonafini, ritratto, courtesy l'artista

Pittura italiana oggi: intervista a Bea Bonafini

26 gennaio 2024
Tra le artiste selezionate da Damiano Gullì per la mostra Pittura italiana oggi figura Bea Bonafini. L'artista è nata a Bonn nel 1990 e vive e lavora tra Londra e Roma. Dopo il diploma in arti visive alla Slade School of Fine Art di Londra nel 2014, ha conseguito un master in pittura nel 2016 al Royal College of Art, sempre a Londra.
Come nel caso di Stefano Arienti, emblematico della generazione di autori italiani attivi a partire dagli anni Ottanta, anche nella ricerca di Bonafini la pittura non rappresenta un perimetro ideologico o limitato alla definizione più tecnica del medium, bensì una componente attiva all'interno di una più complessa configurazione dell'opera. Quest'ultima porta con sé riferimenti sia visivi che concettuali al manifestarsi delle forme.
Negli ultimi anni, la ricerca di Bonafini ha attraversato vari medium, quali la pittura, il disegno, la scultura, la ceramica e supporti tessili come l'arazzo, dando vita a particolarissime interazioni tra tecniche e materiali. È difficile descrivere in una formula unica ed esaustiva la rappresentazione e l’astrazione che lambiscono le forme create dall'artista, che paiono in uno stato perenne di “gestazione” agli occhi dell'osservatore.
Fluent in the Wind, 2022, courtesy of the artist and Bosse&Baum
Animals of your Lips, installation view, courtesy Bosse & Baum
Senza dubbio queste immagini portano con sé una precisa traccia genetica che manifesta, senza citazionismi sterili, un preciso discorso che la storia della pittura femminile ha manifestato dal Novecento in poi. Questo discorso ha visto nell'affermazione di una dimensione mitopoietica nuova e insieme arcaica l'emergere di forme, concezioni spirituali e approcci formali che sono andati di pari passo con il percorso di emancipazione da paradigmi artistici totalmente maschili.

Le opere di Bonafini evocano mondi nei quali sensualità, vulnerabilità, mutazioni si offrono in una simbologia onirica risolta in una delicata eleganza decorativa.
Nei lavori di Bonafini, così come in quelli di altre artiste presenti sia in questa collettiva che nelle più importanti mostre internazionali degli ultimi anni, si riscopre la centralità delle biografie, restituendo dignità alle autrici del passato e uno sguardo più profondo alle ricerche del presente. Similmente a tecniche come il “disegno automatico” surrealista, le opere di Bonafini evocano mondi nei quali sensualità, vulnerabilità, mutazioni si offrono in una simbologia onirica risolta in una delicata eleganza decorativa, intesa non come superficiale disposizione di motivi e colori, ma come forma di appropriazione gentile dello spazio. All’artista, abbiamo chiesto di raccontarci la sua pratica.
Fluent in the Wind, installation view Triennale Milano, foto di Piercarlo Quecchia, DSL Studio
Partiamo dal lavoro esposto in Pittura italiana oggi; ci racconti la sua genesi?
Fluent in the Wind fa parte di una installazione composta da tre figure alate, sospese come se fossero state catturate tra il mondo terrestre e gli inferi. È ispirata alle valchirie, figure ibride della mitologia norrena. Il termine “valchiria” deriva dalle parole “valr” (che significa “cadavere”) e “kýrja” (che significa “uccidere”). Sono rappresentate come donne guerriere alate, entità spirituali che attraversano mondi, permeate di magia, potere e vendetta. Attraverso quest’opera esploro anche l’intersezione tra arazzo, pittura e scultura.
Anche se le tue origini e la tua formazione sono più largamente europee, durante gli anni di studi e lungo tutta la tua pratica, che tipo di rapporto hai avuto con il concetto di pittura? È una domanda che ti pongo perché, ad esempio, per la generazione precedente di artisti in Italia, la pittura ha subito a lungo un certo pregiudizio, spingendo molti “pittori” a trovare forme del tutto peculiari per ripensare il medium. Vari esempi sono visibili in mostra…
La mia relazione con la pittura è sempre stata caratterizzata da una dualità di amore e odio. Ad esempio, ho spesso percepito il formato come troppo standardizzato, ma ho sempre accettato questa sfida come un'opportunità di innovazione. Di conseguenza, il tessuto di base, comune a molti dipinti tradizionali, diventa un elemento chiave nei miei lavori, con pigmenti e colori spesso applicati senza l'uso di pennelli, mettendo in risalto le stesse fibre di supporto. La forma del supporto stesso diviene un elemento fluido e mutevole, con parametri che si modificano costantemente per adattarsi a ogni singola opera.
Che funzione ha il colore nella tua ricerca? Come si è evoluta e stabilita la tua personale palette cromatica?
Il colore è tutta vibrazione. Nei miei lavori agisce come veicolo diretto delle emozioni ed è interamente guidato dall’istinto e da ciò che mi circonda. Ho assorbito i toni rosei dei palazzi romani, i pigmenti sbiaditi sulle rocce delle tombe etrusche e di altri templi antichi, le sfumature iridescenti delle ali di alcuni insetti e le luci fresche e tenui del Mediterraneo. Inoltre, la contaminazione spontanea con gli artisti con cui ho condiviso lo studio ha sicuramente plasmato le mie scelte cromatiche.
SETAREH, 2022, installation view, © T Good

L'approccio ideale per me è lasciarmi trascinare dall'inconscio e dalle vibrazioni, rimanendo sempre sorpresa da ciò che emerge.
Guardando la tua particolarissima figuratività, si ha la sensazione di accostarsi a un immaginario magico, che ricorda quel rinnovamento spirituale che accompagnò esempi di pittura anticipatrice del moderno; penso a Hilma af Klint, Annie Besant e a varie protagoniste del surrealismo che per lungo tempo non sono state incluse nella “storia dell’arte” ufficiale. Lo scandagliare temi legati all’inconscio e allo spirituale fa parte della tua visione?
Certo! Da poco, finalmente, sono stati riconosciuti i talenti del secolo scorso, come quelli di Leonora Carrington, Leonor Fini e artisti medium come Madge Gill. Spesso, il mio lavoro viene incluso in mostre che esplorano questi temi. Il catalogo di af Klint è sempre aperto nel mio studio; i suoi lavori sono frutto di una profonda ricerca sui colori, ma soprattutto, sono guidati dall'irrazionale. L'approccio ideale per me è lasciarmi trascinare dall'inconscio e dalle vibrazioni, rimanendo sempre sorpresa da ciò che emerge.
Le tue opere non sono mai, nell’immediato, riconducibili a un medium o a un supporto specifico; è sempre necessario avvicinarsi molto all’opera per poterne apprezzare la composizione polimaterica e le tecniche utilizzate, dalle composizioni tessili alle applicazioni pittoriche fino all’uso della ceramica. Che rapporto hai con questi materiali e che senso ha per te ibridare le tecniche?
Cerco di mantenere una mentalità aperta e infantile, di esplorare e meravigliarmi di fronte all'ignoto. Questo, naturalmente, implica che a volte devo fare pace con il fallimento. Mi entusiasma sviluppare un modo tutto mio di plasmare un materiale e vedere in che direzione riesce a portarmi; quasi sempre mi faccio lusingare da materiali seduttivi.
I Carry You Inside Me, courtesy Renata Fabbri
Guardando alla selezione delle opere presenti nella mostra Pittura italiana oggi, senti in qualche modo un senso di appartenenza o di continuità con tendenze che riguardano il percorso della pittura italiana, oppure ritieni che il tuo approccio sia indipendente da quella “storia”?
Mi sento particolarmente affine ai lavori caratterizzati da formati sorprendenti, potremmo definirli come una sorta di “pittura estesa”, che si distacca dai canoni tradizionali e gioca con le nostre aspettative.
Luna Piena (Stomaco Vuoto), installation view, courtesy Renata Fabbri
Forse è solo una mia sensazione, ma guardando le tue opere avverto una dimensione sonora che le accompagna. La musica ispira il tuo fare? Esiste una possibile playlist di tracce che ti hanno ispirato?
Sì, assolutamente! A volte trovo ispirazione nelle parole dei testi musicali, che si riflettono nei titoli dei miei lavori. La mia playlist spazia dal pop-rock giapponese ad artisti quali Lizzo e Nils Frahm, con una buona dose di R&B. Ultimamente, mi capita di ascoltare spesso Crescent di John Coltrane e il cinguettio degli uccellini in Wake Up Calls di Cosmo Sheldrake per rendere più dolce il tempo.