Franco Audrito di Studio65 racconta il divano Bocca
"Il divano Bocca si chiama così perché ha la forma di due labbra. Qualche volta ha avuto altri nomignoli, come Marilyn, in omaggio a Marilyn Monroe, facendo un po’ il verso a Salvador Dalí, che aveva fatto il ritratto di Mae West.
Bocca nasce perché eravamo stati incaricati di progettare il centro estetico American Contourella, a Milano. Noi, giovani architetti appena laureati, abbiamo pensato di fare un progetto critico e ironico che prendesse un po’ in giro quella nuova società dell'immagine che stava nascendo e che privilegiava l’apparire rispetto all’essere. Ed era critico soprattutto nei confronti del mito della carta patinata e del voler assomigliare sempre di più a modelle o ad attori, quasi ad assumerne l’identità.
Tutti i progetti dello Studio65 nascono non perché commissionati da un’industria ed essere prodotti in serie, ma sono concepiti come oggetti per interni, per arredamenti, oppure come progetti per concorsi. Il divano nasce come mobile d’ingresso di questo centro estetico, che chiamammo Il tempio della bellezza mentre il divanetto divenne la Dea della bellezza, rappresentando perciò quella bellezza senza cervello che privilegia l’apparire rispetto all’essere.
Bocca è stato disegnato di una particolare dimensione – 1,80 m di larghezza – ma, quando lo abbiamo visto nell’ingresso, come Dea della bellezza figurava piccolino. Decidemmo di riportarlo nel laboratorio artigiano della Gufram dove era stato realizzato per riproporlo in una dimensione più proporzionata per il ruolo che stava assumendo. Mentre veniva rifatto passò un importatore americano di oggetti di arte e design. Non appena lo vide disse: “Ne voglio dieci copie!”. Era stato scolpito a mano e quindi ne scolpimmo altre dieci copie perché fossero spedite in America. Dopo pochi mesi ce lo ritrovammo su un numero di “Life” a doppia pagina, con Marisa Berenson sdraiata sopra. E da lì, attraverso la carta patinata, venne lanciato.
Noi dello Studio65 riteniamo che il divano Bocca sia un po’ come una figlia, qualcosa che abbiamo fatto, di cui abbiamo la paternità, ma siamo sempre attenti e contenti dei successi che invece riscuote molto al di là di chi ne ha fatto il progetto.
Quando il divano è sulle scene, sotto gli occhi dei fotografi e i paparazzi sparano le loro luci, io mi piazzo in platea e guardo ammirato questa “figlia” che ha avuto successo e, al colmo della felicità, do di gomito al mio vicino e gli dico: “Eh, lo sa? Io sono il padre!”."