Game Collection Vol. 1 e 2, frame dei giochi
Il gioco e l’architettura degli ambienti interattivi
7 dicembre 2022
Il game designer Pietro Righi Riva, curatore della Game Collection Vol. 2, intervistato da KoozArch, ci parla delle sinergie tra progetto architettonico e design dei giochi, e delle potenzialità degli ambienti interattivi nelle dinamiche sociali.
In questa intervista con il game designer Pietro Righi Riva, dello studio di game design Santa Ragione, abbiamo parlato di Game Collection Vol. 2 – mostra organizzata nell’ambito della 23ª Esposizione Internazionale di Triennale Milano –, delle sinergie positive tra progetto architettonico e game design e di come i mondi virtuali proposti dai videogiochi possano incoraggiare il pensiero critico su questioni di vita reale. Al di là del design dei giochi, questa conversazione introduce riflessioni sulla creazione di mondi 3D, incluso il metaverso.
KoozArch: “Santa Ragione ha l’ambizione di esercitare un’influenza sul game design attraverso la creazione di nuovi generi, e di proseguire nel solco della tradizione del design italiano”. Che cosa significa, cos’è esattamente Santa Ragione?
Pietro Righi Riva: Siamo parte di un universo progettuale più grande, e non abbiamo la sensazione di esistere nel vuoto. La nostra ricerca spazia dal web design all’arte e al design, riferendosi a qualsiasi oggetto. Gli oggetti sono costruiti a partire da una cultura del design. La pratica e la disciplina consentono di ideare un processo a partire da un concetto, di comprenderne i vincoli e di usare il vocabolario del design per creare un artefatto che può essere fisico, digitale o qualsiasi altra cosa nel mezzo. Molti miei colleghi che si occupano di game design provengono da background diversi (tecnologia, materie umanistiche, sceneggiatura) e non riescono a vedere la propria attività collocata nel contesto più ampio del design. Ho studiato al Politecnico di Milano, dove l’interaction design è concettualizzato all’interno di una tradizione, quindi per me è stata la naturale estensione di quel processo di pensiero, una mentalità che del resto è stata condivisa fin dal principio dalle persone con cui ho iniziato a lavorare.
Non abbiamo la sensazione di esistere nel vuoto, ma siamo parte di un universo progettuale più grande che spazia dal web design alle discipline al confine tra arte e design, a qualsiasi oggetto, fisico e non.
Il nostro primo lavoro in assoluto è stato un gioco da tavolo chiamato Escape from the Aliens in Outer Space, che consisteva nel tentativo di fuggire da un’astronave danneggiata e infestata dagli alieni, sullo stile di Alien. È stato il primo gioco che abbiamo pubblicato e distribuito a livello commerciale. Se la nostra azienda esiste è grazie a questo prodotto. Per quanto riguarda la questione sul progresso e il rinnovamento nei videogiochi, siamo dell’idea che questi abbiano un potenziale artistico che finora non è stato pienamente realizzato, per una serie di ragioni. Ogni nuovo prodotto è pensato per innovare, sfidando le convenzioni e i meccanismi consolidati. Si tenta di trasformare i generi o di inventarne di nuovi, adatti ad accompagnare temi e contenuti altrettanto nuovi. Fino a che si manterranno la struttura e gli schemi tradizionali di gioco – che di solito richiedono di risolvere un problema, superare una sfida o vincere una partita – la gamma tematica resterà limitata, ad esempio, alle situazioni di conflitto. Bisognerebbe anche ampliare il linguaggio delle interazioni possibili. I nostri giochi non sono identificabili con un genere consolidato, si tratta di un filone nuovo, che cerca di creare interazioni e paradigmi inediti.
Suppongo che questo approccio caratterizzi anche il tuo contributo alla 23ª Esposizione Internazionale di Triennale Milano, per la quale hai curato Game Collection Vol. 2. In che modo la mostra risponde al tema della 23ª Esposizione Internazionale, ossia “quello che non sappiamo di non sapere”?
Per Triennale Milano avevo curato anche Game Collection Vol. 1 nel 2016. Questa nuova edizione si è concentrata attorno a un tema preciso da sviluppare, ovvero la nostra concezione di gioco, di quello che è e di quello che può essere, in relazione all’idea di processo. Ho cercato di creare un’esperienza partecipativa che unisca creatori, giocatori e pubblico in una comune ricerca dell’ignoto. L’artista o il creatore di giochi, infatti, non è mai sicuro della direzione da prendere, della destinazione. È un fenomeno molto comune in qualsiasi operazione creativa, ma è particolarmente vero per il nostro settore, poiché i progettisti di giochi non creano un’esperienza lineare, ma attingono a un mondo di esperienze potenziali. C’è poi l’elemento dell’insicurezza, dell’incertezza su ciò che i giocatori faranno nello spazio virtuale. Questo è uno dei motivi per cui i giochi sono il mezzo con cui mi piace lavorare: creano uno spazio in cui l’ignoto ha la possibilità di dispiegarsi. Provo una certa eccitazione nel cercare di prevedere e di immaginare cosa faranno gli utenti nell’ambiente che ho progettato. Cerco di attirare la loro attenzione, stimolare l’immaginazione e la creatività, per far esplorare uno spazio che non dovrebbe guidare eccessivamente l’interazione, ma piuttosto ispirarla.
Trailer della Game Collection Vol. 2
Se penso al mondo dei videogiochi, mi viene subito in mente un parallelo con gli unknown unknowns, che non sono solo le cose che non conosciamo, o quelle che non sappiamo di non conoscere. Mi sono subito reso conto che questo era un tema molto interessante sul quale lavorare; e gli artisti che hanno presentato le loro opere per la Game Collection Vol. 2 sono stati entusiasti di esplorare un argomento che in fondo era già presente nella loro pratica: che cosa faranno le persone con gli strumenti che forniamo loro?
Triennale Game Collection Vol. 2, organizzata nell’ambito della 23ª Esposizione Internazionale di Triennale Milano. Foto: DSL Studio
Presentando Game Collection Vol. 2 hai affermato che i videogiochi “sono altrettanto accessibili e culturalmente profondi del cinema, della musica e della letteratura. Questa Game Collection presenta lo stato dell’arte del medium con uno sguardo al futuro”. La tua descrizione sembra in qualche modo affrontare alcuni dei temi della mostra presentata al MoMA dal titolo Never Alone, che “indaga il modo in cui il design interattivo influisce sul nostro modo di vivere e di concepire lo spazio, il tempo e le connessioni ben al di là dello schermo da gioco”. Qual è la tua posizione riguardo al superamento dei confini del game design e alla contaminazione con altre discipline?
Non ho visitato questa mostra, ma dalla descrizione si propone come una riflessione sul modo in cui i giochi e l’appropriazione, più o meno consapevole, delle strutture su cui si basano finiscono per influenzare le nostre interazioni nel mondo reale e le nostre strutture sociali. Ammesso che sia davvero così, si tratta di un aspetto molto pericoloso, che può influire sulla società in modo potenzialmente negativo: se si pensa alla mercificazione, all’attribuzione di un valore quantificato a ogni cosa, ecco che ci si trova di fronte al pericoloso binomio capitalismo-gamification. Questo è sicuramente un modo in cui i giochi possono influenzare la società, non necessariamente in senso positivo.
Dall’altro lato, questo attesta anche il potere del mezzo stesso. Il gioco implica un potenziale approccio positivo che ha a che fare con l’astrazione e l’esperienza di sistemi simulati; è un luogo in cui è possibile sperimentare per vedere come un sistema reagisce al cambiamento. Ad esempio, se il gioco è imperniato su una simulazione politica che mostra gli interessi dei diversi soggetti coinvolti per avere una società funzionante, ecco che diventa uno strumento per aiutare il pensiero critico.
Tornando al parallelismo tra Game Collection Vol. 2 e altre forme d’arte, intendevo dire che idealmente, quando si guarda un film o si legge un libro, si è portati a formulare una visione diversa della realtà e di se stessi, ma anche della società e della politica. Questo è possibile seguendo la psicologia dei personaggi, la loro evoluzione, e la risoluzione dei loro conflitti. I giochi sono molto simili nell’interazione e sperimentazione all’interno del mondo virtuale, come spiegavo prima con l’esempio della simulazione politica. Penso che, valutando lo stato dell’arte delle ultime produzioni curate da un numero ristretto e selezionato di game designer, si possa notare lo stesso impegno e coinvolgimento verso la condizione umana contemporanea che caratterizza anche gli autori di altre forme d’arte.
Triennale Game Collection Vol. 2, organizzata nell’ambito della 23ª Esposizione Internazionale di Triennale Milano. Foto: DSL Studio
Abbiamo parlato di cinema e letteratura, ora passiamo all’architettura. KoozArch sta esaminando l’importanza della creazione di mondi virtuali nello sviluppo del pensiero critico. Prima hai parlato dei pericoli del capitalismo e della sua gamification. In chiave positiva immaginare nuovi mondi che emergono da un approccio critico verso il presente potrebbe aiutarci a rispondere ad alcune domande. Gli architetti si stanno gradualmente confrontando con lo storytelling nel mondo virtuale per produrre narrazioni o futuri alternativi, che mettano in luce le contraddizioni del vivere contemporaneo. Il game design può contribuire positivamente alla creazione di mondi virtuali in architettura?
Quando progetto i miei videogiochi mi confronto spesso con architetti. L’art director del nostro ultimo prodotto è una scenografa che conosce molto bene l’architettura e ne ha introdotto i principi nel progetto. La sua conoscenza della materia ha finito per influenzare anche la fruizione del gioco, le abbiamo lasciato piena libertà creativa nel creare gli spazi in cui l’interazione si sarebbe svolta. Questi spazi non sono reali, non hanno alcuna implicazione con la vita quotidiana, ricordano una sorta di architettura espressionista in cui gli edifici sono progettati per trasmettere una sensazione: devono essere in grado di ospitare una scena particolare in un momento altrettanto particolare che dovrebbe invogliare i giocatori a comportarsi in un certo modo. In questo caso, trattandosi di un gioco horror, abbiamo voluto creare i presupposti per fare esperienza di una sensazione di claustrofobia, del bisogno di fuggire, di sentirsi di troppo. Gli edifici hanno le tipiche scale che non vanno da nessuna parte, sono spazi che diventano sempre più stretti e inseriti nel contesto di un villaggio che non ha senso dal punto di vista strutturale e trasmette una sensazione di disagio.
Triennale Game Collection Vol. 2, organizzata nell’ambito della 23ª Esposizione Internazionale di Triennale Milano. Foto: DSL Studio
Il game design che comprende la creazione di mondi 3D ha un rapporto inevitabile con l’architettura, perché si tratta di creare uno spazio potenziale che influisce sulle sensazioni e sui comportamenti degli utenti. Con lo sviluppo di altri generi e l’ampliamento del concetto di gioco, sempre più architetti potranno liberamente esplorare aspetti interessanti della loro disciplina per cercare il modo di utilizzarli all’interno degli spazi interattivi. D’altra parte sono scettico nei confronti del metaverso, anzi, sono tra quelli che dicono che è soprattutto una parola d’ordine per vendere servizi. Molte delle applicazioni e del pensiero del metaverso sono orientati esclusivamente al profitto. L’obiettivo principale è: come monetizzare questa tecnologia? Il concetto stesso di metaverso trasforma i mondi digitali 3D – un mezzo di per sé libero e disponibile per tutti – in uno spazio limitato e caratterizzato dalla penuria. Nello spazio digitale possono esistere copie illimitate di tutto per tutti, per questo può diventare un “equalizzatore” sociale, a cui la logica di mercato reagisce immediatamente imboccando la strada della trasformazione in una struttura di privilegi, classi sociali e proprietà simulata.
Biografia
Pietro Righi Riva è cofondatore e direttore creativo di Santa Ragione, uno studio indipendente che ha prodotto videogiochi pluripremiati come FOTONICA, MirrorMoon EP, Wheels of Aurelia e Saturnalia. Righi Riva ha conseguito il PhD in Interaction Design presso il Politecnico di Milano, dove poi ha anche insegnato. È stato anche docente al California College of Arts di San Francisco, alla Shanghai Theatre Academy, alla NABA e allo IULM. La sua filosofia progettuale mira a sviluppare giochi con dinamiche non finalizzate agli obiettivi per rendere i videogiochi accessibili a un pubblico più ampio. Le sue opere sono state esposte alla Biennale di Venezia e al MCA di Chicago. Nel 2017 è stato uno dei quattro autori selezionati per No Quarter, la mostra annuale di game design sperimentale organizzata dal NYU Game Centre, e nel 2018 è stato il vincitore dell’Innovation in Experience Design Award all’IndieCade. È curatore del progetto Game Collection presso Triennale Milano.
Crediti
Estratto di Gaming and the Architecture of Interactive Environments, articolo pubblicato in inglese su "KoozArch magazine".