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Triennale Milano

Il filosofo Emanuele Coccia riflette sul concetto di ecologia e casa

25 agosto 2020
Il 4 marzo 2020 si è svolto in Triennale il primo seminario dedicato alla XXIII Esposizione Internazionale, che si terrà nel 2022. Sono stati invitati a dare il loro contributo esperti di diversi campi disciplinari: dall’astrofisica alla filosofia, dall’etologia all’arte visiva, dalla geopolitica alla robotica. Diario 2022 è il racconto del percorso in preparazione alla XXIII Triennale di Milano attraverso le voci dei protagonisti della cultura contemporanea. A seguire il contributo del filosofo Emanuele Coccia che riflette sul concetto di ecologia.
Carl Linnaeus, Hortus Cliffortianus, frontispiece, 1738
Come in un racconto fantastico, una creatura minuscola, un virus, ha invaso tutte le città del mondo. È difficile addirittura dargli l’attributo di “vivente”. Il virus è uno degli esseri più ambigui sulla faccia della terra: abita la soglia tra la vita “chimica” che distingue la materia e la vita biologica che caratterizza gli esseri viventi. Non è possibile determinare chiaramente a quale ambito appartenga. Nel suo corpo la distinzione tra vita e morte perde chiarezza e significato. Questo aggregato di materiale genetico liberamente fluttuante ha invaso le piazze di villaggi e metropoli.
Proprio come in un racconto fantastico le città sono scomparse: per difendersi da un nemico invisibile ma potente hanno scelto l’esilio, si sono messe al bando dichiarandosi fuorilegge e ora giacciono ai nostri piedi come in un museo archeologico o un diorama. Per difendere le vite dei propri abitanti, le città hanno commesso suicidio.
Watercolour illustration by Georg Ehret of Carl Linnaeus's classification system for plants, from Systema Naturae (1736)
Il Sars-Cov-2, questa minuscola creaturina da fiaba (o piuttosto da racconto fantascientifico) non solo ha distrutto centinaia di migliaia di vite, ma ha anche causato il suicidio della vita politica così come l’abbiamo conosciuta e praticata per secoli. Ha costretto l’umanità ad avviare uno strano esperimento di monacato globale, in cui siamo tutti anacoreti ritiratisi nel proprio spazio privato. Quello che ci rimane sono le nostre abitazioni: non importa se siano piccole o grandi, appartamenti o case vere e proprie. Tutto è diventato casa. Il che non è necessariamente una buona notizia. Le nostre case non ci proteggono. Ci possono uccidere. Si può morire per eccesso di casa.
La casa è stata la nostra ossessione per secoli: ci viviamo dentro, ci trascorriamo molto tempo e, soprattutto, vediamo case e abitazioni dappertutto. Pretendiamo che anche le creature non umane abbiano una relazione con lo spazio equivalente a ciò che noi chiamiamo casa o abitazione.
Uno dei risultati, nonché prova, di questa ossessione verso la casa è l’ecologia. L’ecologia non è la scienza che cerca di studiare il rapporto reciproco di tutti gli esseri viventi tra loro e con l’ambiente, ma è anche e soprattutto la proiezione ideologica di questa ossessione domestica rispetto agli esseri non umani. A causa del suo nome ‘ecologia’, che significa letteralmente ‘scienza della casa’, tutta l’ecologia è dominata da questa metafora.
Da dove deriva, quindi, questa ossessione? Non vi è nulla di naturale in essa. Perché le relazioni tra gli esseri viventi dovrebbero somigliare alla nostra socialità domestica? Perché non utilizziamo, ad esempio, la metafora della città? O di una piazza cittadina? O dell’amicizia? Quando proviamo a immaginare come le persone si relazionano tra loro, le immaginiamo invariabilmente come membri di un’immensa casa, grande quanto l’intero pianeta. Abbiamo bisogno delle lezioni di Ibsen e Tolstoj per capire che le case non sono luoghi particolarmente felici?
Carl Linnaeus (1707 - 1778)
Perché siamo stati tanto crudeli verso i nostri amici non umani da pensarli come personaggi di una tragedia planetaria, in cui ognuno è confinato per tutta la vita nella propria casa? La risposta a questa domanda è un pochino lunga, per cui cercherò di sintetizzarla. Il responsabile è Linneo, il biologo svedese a cui dobbiamo il sistema di classificazione biologica degli esseri viventi. Nel 1749 uno dei suoi studenti, Isaac Biberg, pubblicò il primo grande trattato di ecologia, il cui titolo, tradotto in termini contemporanei, significa a grandi linee “Sull’ordine domestico della natura”. Perché la natura è stata interpretata come un enorme ordine domestico? All’epoca, la maggior parte dei biologi non credeva alla trasformazione o evoluzione delle specie. In un simile contesto, l’unico modo per capire se esistesse una relazione tra il bufalo dell’Arizona e la mosca australiana consisteva nell’assumere il punto di vista di colui che aveva immaginato, progettato e creato entrambi: Dio.
Essendo responsabile dell’esistenza di entrambi, Dio doveva aver concepito e stabilito una relazione tra queste due specie, come tra tutte le specie viventi. Nell’universo cristiano Dio si rapporta al mondo non come un semplice governante o leader politico si rapporta al proprio popolo, ma piuttosto come un padre si rapporta alla propria famiglia e alla propria casa: ha potere sul mondo solo perché l’ha creato. D’altra parte, il mondo non si rapporta a Dio come un suddito si rapporta al sovrano, ma piuttosto come un figlio al proprio padre. Di conseguenza, tutta la vita sulla terra è come un’unica casa e un’unica famiglia dell’unico Padre-Dio. Ecco perché Biberg e Linneo definirono questa scienza "economia della natura". Fu poi Haeckel, un biologo tedesco del XIX secolo, a suggerire il passaggio dall’economia all’ecologia, per distinguere questa disciplina dall’economia capitalistica.
L’immagine della casa si è dimostrata utile, in quanto ha espresso immediatamente l’evidenza e la necessità di una relazione reciproca fra tutti i viventi: tutti sono parte di un’enorme casa e un’immensa famiglia. Tuttavia, ciò pone anche dei problemi. Innanzitutto, questa immagine è il cuore di tutto il patriarcato. L’ecologia non ne ha la consapevolezza, ma continua a essere essenzialmente una mitologia patriarcale, a prescindere da tutti gli sforzi compiuti dalle eco-femministe. Nell’antichità come ai giorni nostri la casa costituisce uno spazio in cui una serie di oggetti e di individui rispetta un ordine, una disposizione che mira alla produzione di un’utilità ed è soggetta al potere di un singolo. Dire che la vita sul pianeta è una grande casa significa che questa rispetta tale ordine e che ciascun elemento che la compone produce una forma di utilità in virtù di tale ordine. Da questo punto di vista l’ecologia condivide con l’economia capitalistica la stessa origine, lo stesso vocabolario e la stessa struttura concettuale. L’ecologia non ci salverà mai dal neoliberalismo.
Carl Linnaeus, Isaac Isaacson Biberg, Oeconomia Naturae, 1749
Pensare in modo ecologico significa credere che vi sia un ordine da difendere, che in natura esistano limiti da non superare e che tali limiti siano definiti dal rapporto patrimoniale e patriarcale con altre specie. Ci sono le case delle altre persone, gli ecosistemi, che dobbiamo rispettare proprio come siamo chiamati a rispettare le case altrui. Proprietà privata. Si tratta di concepire il mondo come un immenso Schrebergarten, un’estensione infinita di piccoli giardini, dove ogni specie coltiva il proprio spazio, perduta in un’eterna quarantena che non conosce un esterno, una città, uno spazio altro rispetto alla ‘casa’.
È difficile associare questa forma di vita a un’idea di felicità. Lo abbiamo sperimentato in questi giorni. In fin dei conti, pensare che la terra sia un’enorme casa significa anche credere letteralmente che tutte le creature viventi, eccetto gli esseri umani, si trovino agli arresti domiciliari. Non riconosciamo ad altri esseri viventi il diritto di lasciare la casa, vivere all’esterno di essa e avere una vita politica, sociale, non domestica. Animali, piante, funghi, batteri e virus stanno sempre a casa e possono stare solo a casa. La loro condizione naturale è una perenne quarantena.
Dopo tutto, la reazione alla crisi causata dal Sars-Cov-2 è stata una radicalizzazione del pensiero ecologico: ora persino gli esseri umani devono rispettare il proprio ecosistema. Dovete rimanere a casa. Dovete essere ecologici. Non dovete avere una politica. Non dovete avere una vita sociale. Se le persone, grazie alle città, una volta si arrogavano il diritto di viaggiare dappertutto e vivere liberamente, ora tutti gli esseri viventi, nessuno escluso, devono condurre un’esistenza monacale. L’ecologia, in effetti, è proprio questo: l’idea che tutti noi, umani e non umani, siamo monaci di Gaia.
Watercolour illustration by Georg Ehret of Carl Linnaeus's classification system for plants, from Systema Naturae (1736)
Questa situazione senza precedenti rappresenta forse un’opportunità. Il Sars-Cov-2 ci consente di liberarci definitivamente dalla nostalgia e dal concetto idealizzato della casa. La casa è, per definizione, uno strano teatro, che ci permette di coltivare l’illusione secondo cui, per vivere, non abbiamo bisogno di alcuna altra forma di vita: è sufficiente riunire donne e uomini attraverso pietre e metallo per diventare eterni. La casa e la sua espansione, la città, sono soprattutto una forma di monocultura (umana), che respinge all’esterno, verso quella che possiamo ancora chiamare la foresta, qualsiasi cosa non le assomigli. Il nome ‘foresta’ (dal latino foris, ovvero ‘fuori’), che noi insistiamo a ritenere la casa naturale degli esseri naturali, è solo l’espressione di questa ‘forclusione’: è il luogo in cui vengono radunati gli esclusi, gli esiliati dalle città, ovvero dalle nostre case. La parola ‘foresta’ dovrebbe essere tradotta letteralmente con ‘campo profughi’. Così, ogni volta che pensiamo alla foresta come un luogo naturale, una casa per alberi, animali, batteri, virus, diciamo che i non umani devono vivere in esilio, in campi profughi.
Per favore. Smettiamola di confinare tutti gli esseri viventi nelle proprie case. Lasciamoli vivere. Lasciamoli girare qua e là come piace fare a noi. Liberiamoci dai muri e dalle case. Non abbiamo più una scelta. È il momento di liberarci, per sempre, dalla prigionia delle case. È il momento di interrompere la quarantena planetaria che chiamiamo ecologia. Nessuno sta a casa su questo pianeta, non più.