Dalla classicità al fondale prospettico reso celebre da Brunelleschi, dall’avvento dell’illuminazione elettrica alle più recenti innovazioni scenotecniche: la storia del teatro e quella della tecnologia s'intrecciano di continuo. Nonostante questa longeva coesistenza, il tema resta divisivo e l’introduzione di ogni innovazione comporta nuove problematizzazioni. Il timore è, essenzialmente, quello di perdersi in tecniche spettacolari dimenticando la sostanza di quei corpi che faticosamente abitano la scena. Artificio e natura e, di riflesso, tecnologia e corporeità sono concepiti come antitetici, in continuità con una rigida tradizione che li identifica come inconciliabili.
La dialettica che lega tecnologia e teatro è divenuta ancora più urgente con l’invenzione della fotografia, con il successivo avvento del cinema e, più di recente, del digitale: l’arte è, in definitiva, riproducibile. Tutto l’orizzonte culturale è stato profondamente modificato da questa nuova possibilità tecnica, anche se il teatro inizialmente sembra sottrarsi a questo cambiamento.
Posto infatti che vi siano più forme di spettacolo possibili, convenzionalmente il teatro accade in presenza di un pubblico, in uno spazio e un tempo ben determinati: è inevitabilmente una forma di spettacolo dal vivo e non riproducibile, in quanto la sua essenza eccede la testimonianza video e ogni replica è diversa dalle altre. Si tratta dunque di un’arte collettiva che si concretizza in compresenza, sollecitando l’immaginazione a partire dalla percezione del pubblico (la parola teatro, in greco antico, deriva dal verbo “vedere”).