Triennale Milano
I AM (VR), Susanne Kennedy – Markus Selg – Rodrik Biersteker © Judith Buss

What am I? Quando il teatro dialoga con la tecnologia

11 marzo 2022
La nostra esplorazione del mondo teatrale è iniziata dal corpo – il sine qua non del teatro – e adesso si dirige verso ciò che è spesso identificato come il suo contrario, la sua aberrante imitazione: la tecnologia. Pochi temi in ambito teatrale sono divisivi come l’utilizzo della tecnologia, e il dibattito a tal proposito è potenzialmente molto ampio. In questo articolo se ne riportano gli elementi essenziali, insieme a qualche interrogativo ispirato da I AM (VR), installazione performativa in realtà virtuale – ideata da Susanne Kennedy e Markus Selg in collaborazione con  Rodrik Biersteker – ospitata in Triennale dal 16 al 20 marzo 2022 in occasione della quinta edizione del festival FOG.
La tecnologia – intesa come utilizzo di tutto ciò che può essere applicato alla soluzione di problemi e al raggiungimento di obiettivi – è tutt’altro che una novità per il teatro. Già il commediografo greco Aristofane sbeffeggiava Euripide, tragediografo suo contemporaneo, per l’utilizzo di una tecnologia, a suo dire, responsabile di un effetto poco realistico e dunque grottesco: la gru usata per l’apparizione del deus ex machina. La diffidenza di Aristofane, però, non ha impedito che questa macchina, finalizzata a far comparire una divinità chiamata a risolvere intrecci complessi con un intervento extradiegetico, diventasse una costante del teatro antico.
Dalla classicità al fondale prospettico reso celebre da Brunelleschi, dall’avvento dell’illuminazione elettrica alle più recenti innovazioni scenotecniche: la storia del teatro e quella della tecnologia s'intrecciano di continuo. Nonostante questa longeva coesistenza, il tema resta divisivo e l’introduzione di ogni innovazione comporta nuove problematizzazioni. Il timore è, essenzialmente, quello di perdersi in tecniche spettacolari dimenticando la sostanza di quei corpi che faticosamente abitano la scena. Artificio e natura e, di riflesso, tecnologia e corporeità sono concepiti come antitetici, in continuità con una rigida tradizione che li identifica come inconciliabili.
La dialettica che lega tecnologia e teatro è divenuta ancora più urgente con l’invenzione della fotografia, con il successivo avvento del cinema e, più di recente, del digitale: l’arte è, in definitiva, riproducibile. Tutto l’orizzonte culturale è stato profondamente modificato da questa nuova possibilità tecnica, anche se il teatro inizialmente sembra sottrarsi a questo cambiamento.
Posto infatti che vi siano più forme di spettacolo possibili, convenzionalmente il teatro accade in presenza di un pubblico, in uno spazio e un tempo ben determinati: è inevitabilmente una forma di spettacolo dal vivo e non riproducibile, in quanto la sua essenza eccede la testimonianza video e ogni replica è diversa dalle altre. Si tratta dunque di un’arte collettiva che si concretizza in compresenza, sollecitando l’immaginazione a partire dalla percezione del pubblico (la parola teatro, in greco antico, deriva dal verbo “vedere”).
Mechané per apparizione deus ex machina (ricostruzione), © La Testata Magazine
Macchinari, immagini e innovazioni digitali hanno progressivamente modificato l’esperienza teatrale, ma è la virtual reality (VR) che ne ha messo profondamente in crisi la visione del mondo: già il fatto di chiedersi se ciò che si vede, e che si esperisce, sia reale o solo percepibile come tale, mette in crisi il paradigma interpretativo della realtà. 
Non a caso il mettere in dubbio, ponendo domande che suscitano incertezza, è uno degli elementi costitutivi dell’installazione performativa I AM (VR), il cui titolo interroga la nostra identità; la voce che accompagna il percorso in realtà virtuale avverte fin dall’inizio: “All depends upon your imagination”. Ed è proprio il concetto di immaginazione, insieme a quello di percezione e di presenza, a dover essere necessariamente riconsiderato in seguito all’avvento della VR e di tutte le successive innovazioni che rientrano in quella che, comunemente, è definita extended reality (ad esempio l’augmented e la mixed reality).
Proiezioni e dissolvenze incrociate in stile cinema (Gustavo III al San Carlo Napoli, stagione 2003-2004), fonte: peroni.com
I AM (VR), Susanne Kennedy - Markus Selg - Rodrik Biersteker © Judith Buss
I AM (VR), Susanne Kennedy - Markus Selg - Rodrik Biersteker © Judith Buss
Immaginazione, percezione e presenza: tre concetti chiave del mondo teatrale che rimandano ai sensi, alla mente e, inevitabilmente, al corpo. Si tratta di elementi costitutivi della teatralità e, nella loro messa in discussione, è possibile  rintracciare l’origine della diffusa diffidenza teatrale nei confronti della tecnologia contemporanea.
L’avvento della VR fa sì che il rapporto dell’arte con la realtà necessiti di essere ridefinito, insieme ai concetti di presenza, di percezione, di immaginazione e, per estensione, anche di identità: nulla di più divisivo.
“Where is your body?” domanda retoricamente I AM (VR), pur sapendo che, nel mondo della VR (a differenza di quanto accade in realtà aumentata), tutto ciò che è virtuale non  viene oscurato (corporeità compresa). Non si può  vedere il proprio  corpo, ma percepire la realtà circostante come credibile. Ci si può muovere  nello spazio, anche se è un mondo virtuale. Esattamente come quando si legge e si è portati a ricostruire  mentalmente i luoghi in cui si svolge l’azione, come quando a teatro si intuisce  che oltre le quinte c’è un mondo intero e, spontaneamente, lo si immagina.
Grazie alla percezione sensibile, ci si orienta  in uno spazio, per quanto virtuale, e lo si può ricostruire mentalmente come  credibile; tutto si svolge in tempo reale. Ma sono elementi sufficienti per affermare di essere  lì presenti e di vivere  un’esperienza insieme ad altri esseri umani? Si tratta di un evento teatrale?
I AM (VR) centra il punto nel dare una forma alla problematica presenza della tecnologia in teatro. Implicitamente pone la domanda : questa performance sarebbe stata più povera senza l’apporto della tecnologia o si tratta solo di un vezzo? Se la risposta è che I AM (VR) ha contribuito a riflettere  sui concetti che la contemporaneità è chiamata a ridefinire – come quelli di presenza e identità – allora la tecnologia ha davvero permesso il raggiungimento di un obiettivo.