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Triennale Milano
Fonte: Film at Lincoln Center da Ginger e Fred , di Federico Fellini
Fonte: Film at Lincoln Center da Ginger e Fred di Federico Fellini

Guida rapida: imparare a ballare col cinema di Federico Fellini

13 aprile 2022
Prendere in esame la carriera di Federico Fellini significa inevitabilmente incrociare il nostro percorso con la danza e i suoi significati. Ideato in occasione dei lavori del duo artistico Deflorian/Tagliarini (anche artisti associati di Triennale Milano Teatro), questo articolo propone un percorso mirato a indagare il ruolo della danza nel cinema del maestro riminese, che la impiegò in quasi tutte le sue opere per leggere il mondo e dargli un senso. Per raccontare le fasi della vita.
Se sul conflitto tra Fellini e Lattuada per l’attribuzione di Luci del Varietà si è già detto tanto – i due condivisero la regia –, per certo il Fellini regista, o meglio co-regista, si è presentato per la prima volta al grande pubblico con un film in cui la danza occupa uno spazio centrale, come componente vitale dello spettacolo di varietà. Si può dire che il cinema di Fellini inizi proprio con una danza e che di danza si adorni e rinvigorisca fino a La voce della Luna, ultimo film del regista riminese. Quest’opera incarna parte di quella riflessione sul passare della propria epoca che con Ginger e Fred raggiunge i suoi esiti più evidenti e malinconici, nonostante un barlume di speranza espresso da un ballo di coppia, strumento di conoscenza e comunicazione dirompente.
Fonte: repubblica.it
Fonte: Cineteca di Bologna da Ginger e Fred di Federico Fellini
Fonte: Cineteca di Bologna da Ginger e Fred di Federico Fellini
La danza, sembra suggerire Fellini, costruisce una vera e propria memoria fisica: se hai danzato una volta, potrai farlo per tutta la vita, proprio come andare in bicicletta. E, se hai ballato con qualcuno, potrai tornare a farlo e ritrovare l’armonia del movimento sincronizzato, la gioia della vita, proprio come afferma il personaggio di Paolo Villaggio ne La voce della Luna: “Il ballo è un ricamo. È un volo. È come intravedere l’armonia delle stelle. È una dichiarazione d’amore. Il ballo è un inno alla vita!”.
 
Ragionare sulla danza in Fellini vuol dire quindi attraversare un’intera carriera, epoche e generi differenti: passare dalla sensualità di una danzatrice del ventre ne Lo sceicco bianco, allo swing pieno di vitalità in tra Barbara Steele e Mario Mezzabotta, che insieme agli altri ospiti del centro termale si muovono sotto lo sguardo dell’immobile Marcello Mastroianni, interprete di un regista appunto immobile, impantanato in un vuoto creativo che è crisi esistenziale. Ma proprio quel regista immobile, Guido Anselmi, liberandosi del proprio film capirà di aver vissuto, di aver celebrato la vita, e con gioia fanciullesca si getterà in un girotondo con tutti i personaggi della sua crisi recente. Ancora una volta, la soluzione di tutti i mali si trova nella danza, catartica e collettiva, come un rito.
da 8½ , di Federico Fellini
da 8½ , di Federico Fellini
Inevitabile però che sia Ginger e Fred il film da vedere per capire cosa rappresenti la danza per Fellini: due ballerini ormai in pensione, la coppia composta da Amelia Bonetti (Giulietta Masina) e Pippo Botticella (Marcello Mastroianni), conosciuta come “Ginger e Fred”, viene ingaggiata da una televisione privata per esibirsi in un duetto di tip tap. È l’occasione per Fellini di ribadire la sua contrarietà alla TV in generale e soprattutto a quella privata, che si fonda esclusivamente sulle entrate pubblicitarie e “interrompe un’emozione”, citando proprio lo slogan coniato da Fellini nella sua crociata contro le TV degli imprenditori. Ginger e Fred, distanti da anni, vengono gettati nel tritacarne della televisione, nel sistema fordiano dell’intrattenimento che in catena di montaggio mette uno dietro l’altro lo spettacolo, la pubblicità e l’intervista, e che utilizza la danza come stacchetto di pochi secondi. Insomma, la fine dell’esperienza artistica. Una magia che per Ginger e Fred si rianima per qualche attimo in  un ballo, inizialmente interrotto da un  blackout in studio: qualche minuto di imprevisto che sconquassa le certezze della coppia e spinge i due ad abbandonare le scene, salvo poi rimanerci col ritorno dell’elettricità e portare a termine il loro ultimo ballo. “Pippo, Amelia, bravi, bravi!”, e ancora “Brava, signora, siete piaciuta a tutti, brava!”, ma anche “Signora scusi non può fermarsi qui, si alzi, ostacola il passaggio”. Un affresco decadente della società italiana che non smette di essere attuale.
 
Non è un caso poi se una delle migliori definizioni di Fellini l’abbia data Pier Paolo Pasolini proprio con la metafora della danza. Intervistato nell’episodio pasoliniano de La ricotta in Ro.Go.Pa.G, è Orson Welles a dare questa opinione sul grande regista riminese: “Egli danza… Egli danza.”. Due parole che riassumono una carriera e confermano la stima di grandi personaggi della sua epoca, per non parlare di quelle successive. L’influenza di uno swing alle terme si rivede, per esempio, in Pulp Fiction di Tarantino, nel celebre balletto di Mia Wallace e Vincent – operazione postmoderna per eccellenza – come in tanto cinema di Paolo Sorrentino.
da Pulp Fiction di Quentin Tarantino
da Pulp Fiction di Quentin Tarantino
In Fellini la danza è animazione, è il mambo di Cabiria ballato sul ciglio di una strada, è il ballo di coppia ne La dolce vita, è l’affermazione di un’identità come ne La voce della Luna. La danza conforta ed è adatta a tutti, a ogni livello, ogni estrazione sociale, ogni mestiere. Se il ballo di coppia si evoca in quasi tutti i film di Fellini, le declinazioni sono a maggior ragione molteplici. Già si è detto di vitalismo e seduzione, di ricordo e conoscenza dell’altro, ma è nel Casanova che il ballo di coppia diventa affresco allegorico: il vecchio seduttore veneziano chiude la sua avventura in pellicola ballando con un automa, una ballerina – come di carillon – che è il suo doppio e la sua compagna ideale. Il macchinico dell’esperienza erotica di Casanova si manifesta infatti nella reiterazione del movimento copulativo, la robotizzazione dell’umano ormai incapace di vivere in un mondo di homo sapiens e che si rifugia nel gelido abbraccio di una statua di cera. Colpo geniale di Fellini che trova sempre nella danza uno strumento narrativo immediato e molto più prezioso di tante parole.
“Egli danza”, dicevamo, ma perché? Fellini trova nella danza un alleato formidabile al suo racconto cinematografico di impianto spesso teatrale. Se il teatro è corpo, lo è a maggior ragione la danza: quest’ultima non può che compiersi col movimento, così come nel movimento si realizza la magia del cinema, sia quello che vediamo, sia quello che si fa. Non a caso un altro aspetto ricorrente nel cinema di Fellini è il set, visto come grande alveare ronzante in cui il caos poco a poco si incanala in una direzione comune e infine nel silenzio sacro della scena, del motore-partito-azione. Fellini ritrova nella danza l’armonia delle parti – e quindi dei muscoli e dei corpi – che da uomo di cinema sente di sua personale responsabilità. Il regista demiurgo che tutto vede e tutto dirige, con l’approccio non del despota ma del coreografo.
 
Fellini danza, e danzando mette ordine, impara a vivere. Dovremmo fare tutti come lui.
Fonte: imdb.com, Donald Sutherland e Leda Lojodice sul set de Il Casanova di Federico Fellini