Matthew Claudel, foto di Kim Smith
Il designer, ricercatore e scrittore Matthew Claudel al simposio dell'11 giugno
2 luglio 2020
L'11 giugno 2020 in Triennale si è svolto il secondo appuntamento di Verso la XXIII Esposizione Internazionale di Triennale Milano, intitolato La Terra vista dalla Luna. L’incontro è parte del percorso di avvicinamento all'Esposizione del 2022 e intende stimolare il confronto su alcuni temi centrali del nostro presente. A seguire, l'intervento del designer, ricercatore e scrittore Matthew Claudel.
La Terra vista dalla Luna, il secondo appuntamento di Verso la XXIII Esposizione Internazionale di Triennale Milano
Il concetto che desidero puntualizzare è che lo Stato deve essere sempre riscoperto. Si tratta di una sfida che il filosofo John Dewey ci ha lanciato circa cento anni fa. Lo Stato, ovvero il modo di vivere insieme, deve essere sempre riscoperto. La crisi in cui ci troviamo è multidimensionale, riflette la natura delle nostre istituzioni e la loro relativa debolezza: va dalla distruzione del sistema alimentare all’inefficacia dell’assistenza sanitaria che ha causato la pandemia di Coronavirus, dalla disuguaglianza economica al razzismo, che sono sempre più evidenti, specialmente negli Stati Uniti. Dobbiamo riscoprire come vivere insieme.
Uno dei modi per affrontare la questione è certamente quello di considerarla dall’esterno. Questo è stato il suggerimento offerto dal seminario La Terra vista dalla Luna. Osservare la Terra dal satellite dell’esperto o del filosofo o magari dell’élite tecnologica, qui al Massachusetts Institute of Technology. L’altro modo è partire dal cuore del problema, dalle esperienze e ingiustizie individuali, dalle strategie e dall’intraprendenza di particolari individui e dei soggetti pubblici sul campo. Quello che il filosofo Bruno Latour definisce “logica terrena”.
Questo secondo approccio è stato il punto di partenza del progetto editoriale PROVISIONS [Provvedimenti], che abbiamo lanciato recentemente su “The Site Magazine”, invitando vari soggetti a collaborare con brevi contributi, successivamente raccolti in un’edizione speciale della rivista.
Abbiamo chiesto loro di riflettere su uno dei tre punti seguenti:
1. Quali provvedimenti stai adottando in relazione a questo periodo eccezionale? Cosa stai imparando dalle attuali circostanze?
2. Quali provvedimenti avevi già applicato? Come ti stanno aiutando a sopravvivere, adesso?
3. Quali provvedimenti o eccezioni stai vedendo e quali ti turbano? Ad esempio le estensioni di potere “temporanee” attraverso la tecnologia di tracciamento dei contatti o altro.
Il progetto funziona come un moltiplicatore focale, che riunisce prospettive diverse all’interno di un caleidoscopio, raccogliendo una vasta collezione di idee, strategie e avvertimenti.
Illustrazioni di Kim Smith
A questo punto ci chiediamo: come possiamo usare il materiale raccolto? Come organizziamo i provvedimenti indicati, in modo da applicarli in futuro?
Se i miei amici del Massachusetts Institute of Technology hanno creato un sistema open-source e decentralizzato per la produzione rapida di mascherine, ha senso provarlo anche a Milano?
E se i ragazzi del Massachusetts Institute of Technology avessero ignorato completamente il problema della distribuzione? Taiwan ha forse una strategia ottimale che potremmo prendere in prestito?
In generale, come si può collaudare una strategia e verificare se possa essere applicata in un determinato luogo? E come si possono escogitare nuove idee, in un luogo specifico?
In altre parole: come possiamo distinguere un segnale in mezzo a tutto questo rumore?
Se il tema della prossima Esposizione Internazionale di Triennale Milano è legato alla riscoperta del modo in cui vivere insieme sul e con il pianeta Terra, dobbiamo riuscire a sentire questo segnale. Insieme dobbiamo scoprire e imparare.
Dobbiamo sperimentare.
Alcuni anni fa ho cominciato a notare che alcuni soggetti del mondo governativo, del mondo degli affari, dell’ambiente universitario e gruppi di comunità stanno conducendo esperimenti nelle città, con tecnologie e politiche innovative. Si tratta, ad esempio, di nuovi sistemi di mobilità e condivisione di veicoli o di nuovi modelli di sviluppo del territorio e di strategie in ambito architettonico. Durante gli ultimi quattro anni ho portato avanti una ricerca su larga scala per capire come questi soggetti stiano sperimentando con tecnologie, politiche e normative.
Abbiamo scoperto alcune cose. Da un lato, abbiamo creato una tipologia di esperimenti e documentato alcune delle migliori pratiche. Dall’altro, abbiamo individuato i pericoli legati all’uso di un “esperimento” come base per estendere il potere, senza l’integrazione di verifiche e bilanciamenti. Per definizione, l’esperimento infrange lo status quo. È qualcosa al di fuori della norma. In alcuni casi, la norma è un nastro rosso da tagliare, un mero passaggio burocratico. In altri casi, però, la norma esiste per un’ottima ragione. Questo è il processo democratico: può evitare l’abuso di potere o l’ingiustizia economica o garantire trasparenza e sorveglianza. Per questo motivo è di estrema importanza comprendere il modo in cui in concreto gli esperimenti vengono condotti nelle nostre città.
Nello specifico, abbiamo osservato esperimenti con due funzioni molto interessanti.
Il primo fa riferimento a strutture politiche ed economiche alternative. Di fatto, gli esperimenti si concludono spesso con la creazione di una tecnologia o di un programma governativo di tipo convenzionale. E questo non è necessariamente un male. Si può trattare, ad esempio, di un nuovo sistema di energia pulita. In altri casi, ossia quelli che si dimostrano più emozionanti e interessanti, l’esperimento dà vita a strutture alternative. Come la pompa di calore geotermica cooperativa, posseduta da ogni abitante del quartiere, che prevede un contratto legale perpetuo con il bacino idrografico ecologico da cui si alimenta. Questi esperimenti conducono a ibridi di natura bizzarra tra fattori che, solitamente, vogliamo tenere separati e ben definiti, come la regolamentazione, la proprietà e il valore. Questi esperimenti rivelano modelli di governance alternativi. Esperimenti che, in larga parte, vanno a destabilizzare concetti tradizionali, come ad esempio, quello della “proprietà”. Si tratta, in modo particolare, degli esperimenti che interessano il territorio. Di norma, almeno negli Stati Uniti, il territorio si può “possedere”, con la possibilità di costruire qualsiasi cosa si voglia, escludere chiunque si voglia e inquinare tutto a proprio piacimento. Non deve sorprendere che, nelle norme in materia di proprietà terriera, siano insite ingiustizie di tipo razziale, economico ed ecologico. Facendo saltare regimi consolidati, gli esperimenti cominciano a introdurre generi alternativi di investimenti e profitti, tipologie di edifici con caratteristiche architettoniche diverse, diritti collettivi di accesso agli spazi e gestione ecologicamente responsabile delle risorse.
La seconda osservazione è che gli esperimenti possono costituire uno spazio per riflettere su scenari comuni per il futuro, un modo non solo per sviluppare strategie e sistemi innovativi, ma anche per valutarli e sperimentarli, decidendo se siano auspicabili o meno. Questo sottrae agli esperti il ruolo di mediatori e favorisce il passaggio dalle idee astratte a valori tangibili. Si tratta di un passo importante, in quanto moltissime nuove idee e tecnologie implicano valori in conflitto tra loro, che interessano in vario modo diverse popolazioni. Ad esempio, una rete di veicoli per la micromobilità può avere un significato diverso per un giovane millennial benestante rispetto a una madre single con tre figli. Un esperimento ci consente di prendere visione di esso, mettendo in contatto i soggetti interessati. Gli esperimenti promuovono legami tra attori inusuali. Il fatto stesso di mettere alla prova qualcosa, potenzia il senso di responsabilità. All’interno di questi spazi eccezionali gli attori diventano responsabili gli uni verso gli altri e nei confronti dei nostri ecosistemi. In altre parole, siamo in grado di definire cosa sia una tecnologia o un sistema, ma anche di decidere se e come possa esistere qui, adesso, con questa comunità. L’esperimento rivela come siamo tutti interconnessi in un determinato luogo, con la possibilità di iniziare a strutturare una rete permanente. Questo è ciò che il Presidente di Triennale Milano Stefano Boeri ha descritto nei termini di decentralizzazione personale, in quanto singoli individui e in quanto specie umana.
Tibor Kalman, Everything is an experiment, opening pages of Tibor Kalman: Perverse Optimist…, a cura di Peter Hall e Michael Bierut, 2020
Vorrei concludere tornando alla realtà attuale. Durante le settimane e i mesi passati è diventato chiaro che ogni cosa è un esperimento, come diceva il leggendario graphic designer Tibor Kalman. L’emergenza Covid-19 e la mobilitazione sociale a cui stiamo assistendo hanno reso concreto questo concetto. Enti governativi, società e gruppi di comunità stanno sperimentando nuove strategie per affrontare la crisi. Si sta manifestando in modo ancora indistinto una forma dinamica e viva di impegno politico, con modalità positive e negative. Possiamo leggere le PROVISIONS del Site Magazine attraverso la lente degli esperimenti e domandarci: questi esperimenti creano un’economia e una governance alternative? Ci consentono di decidere riguardo a futuri scenari condivisi, generando un senso di responsabilità? Il Covid-19 e la mobilitazione sociale negli USA hanno costituito, in tal senso, una sorta di sonda o sensore della debolezza strutturale propria del nostro tessuto sociale ed economico. Oggi, quando ormai tutto è un esperimento, sta diventando chiara la necessità di cambiare le strutture di potere esistenti, promuovendo il senso di responsabilità nei soggetti più vulnerabili della società. La situazione attuale ha dimostrato che alcuni stati ne hanno effettivamente la capacità, ad esempio Taiwan o la Nuova Zelanda, e anche alcuni gruppi di comunità. Tuttavia, in linea generale e particolarmente negli Stati Uniti, non abbiamo un sistema politico in grado di sperimentare efficacemente. Questa è la sfida da affrontare: dobbiamo ripensare al nostro ruolo sul pianeta, gli uni insieme agli altri.
Tibor Kalman, Everything is an experiment, opening pages of Tibor Kalman: Perverse Optimist…, a cura di Peter Hall e Michael Bierut, 2020
In conclusione, gli esperimenti possono diventare uno strumento pericoloso, se utilizzati per estendere il potere già esistente, che si tratti di disuguaglianza economica o raccolta e sorveglianza dei dati. Tuttavia, possono rappresentare un metodo prezioso per realizzare nuovi tipi di infrastrutture sociali. Abbiamo bisogno di uno stato in grado di sperimentare efficacemente. Uno stato che promuova l’apprendimento collettivo a livelli diversi: iperlocale e iperglobale. Uno stato capace di adattarsi permanentemente.
Illustrazioni di Kim Smith
Matthew Claudel è un designer, ricercatore e scrittore. È stato co-fondatore del programma designX del MIT, dove è stato responsabile dell'Innovazione Civica e istruttore per quattro anni. Matthew è stato coautore di due libri, Open Source Architecture e The City of Tomorrow, e ha pubblicato articoli su riviste con revisione paritaria, capitoli di libri e pezzi di narrativa speculativa, principalmente sui temi della tecnologia, del design e delle città. Ha conseguito un dottorato in Urbanistica Avanzata al MIT, dove il suo lavoro si è concentrato sulle pratiche emergenti della sperimentazione urbana in relazione al valore civico. È uno dei protagonisti della comunità globale di artisti di Hans Ulrich Obrist, 89plus, e un frequente collaboratore dello studio di design strategico Dark Matter Labs. Come studente universitario, ha studiato architettura a Yale e ha ottenuto un Master of Science in Urban Studies al MIT.