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Triennale Milano
Vico Magistretti con la sedia Selene, Da “Ottagono”, 1969

Come nasce il RossoVico: il marchio distintivo e ossessione di Vico Magistretti

21 maggio 2021
Uno dei tratti distintivi di Vico Magistretti, per chi lo conosceva, erano le calze rosse, esibite come ironica concessione a una sobrietà tipicamente milanese. Tale dettaglio ben si sposava con l’immagine pubblica che voleva dare di sé: quella di un professionista autorevole ma capace di non prendersi completamente sul serio, accogliendo un certo grado di leggerezza nella razionalità del proprio mestiere, quindi della sua vita. Erano un segno di indipendenza e anticonformismo, come ha suggerito l’amico Italo Lupi.
Non è solo un aneddoto biografico: a guardare bene la sua opera, il rosso sembra assumere un ruolo molto più importante. Magistretti lo ha usato con una frequenza e un’attenzione che definiremmo eccezionale, tanto nell’architettura costruita quanto nei pezzi da mandare in produzione, e ancor prima come colore prediletto nella quotidianità del progettare.
Vico Magistretti, foto, © Ramak Fazel, courtesy Viasaterna
Selene, Vico Magistretti, Artemide, 1968
Selene, Vico Magistretti, Artemide, 1968
Il rosso nell'architettura e nel design
Il ricorso al rosso compare fin dalle prime battute della sua lunga carriera, al ritorno dall’esilio nel paese dalla bandiera rossocrociata (la Svizzera) dove fu istruito da Ernesto N. Rogers, suo indimenticato maestro. In quello che può essere considerato il suo primo progetto, l’allestimento della mostra della Ricostruzione all’Arengario (1945), Vico immagina una serie di pannelli rossi appesi su di una struttura in tubolare, ispirati chiaramente alle composizioni (e al rosso) di Mondrian e van Doesburg. Non a caso, tra i soci in questo progetto c’è Albe Steiner, che negli stessi anni usa il rosso sulla prima pagina de “Il Politecnico” (1945) e in molte altre opere. È il rosso delle avanguardie, che s’impregna di valore politico; è il rosso dell’auspicata Modernità postbellica che accende gli schizzi del progetto irrealizzato per la grande scultura meccanica della Fiera di Taranto (1948), del Palazzo dell’Arte (nella proposta per la sistemazione degli spazi esterni in vista della VIII Triennale, 1946), della Chiesa di Santa Maria Nascente al QT8 (1953-55) e di molti altri.
Un rosso acceso si scorge anche nella Casa Arosio ad Arenzano (1956-59), opera che fece scalpore. In questo caso è rosso il cancello d’ingresso al livello della strada, che crea – ancora vengono in mente le calze – un contrappunto cromatico con il bianco mediterraneo del piccolo edificio sovrastante. Rosse sono anche le esili strutture della Chiesa della Madonna della Neve a Ravello di Rescaldina (1957-59). Molti anni dopo, il rosso comparirà nella Facoltà di Biologia dell’Università Statale di Milano (1978-81), dove accenti verticali e orizzontali – fotografati magnificamente da Gabriele Basilico – risaltano sul grigio dei pannelli prefabbricati di cemento, dando prova di una notevole capacità d’impaginazione grafica. Le origini di questa propensione per il rosso vanno di certo rintracciate nel bagaglio culturale (e ancor più iconografico) di un architetto nato nel 1920 e quindi formatosi guardando ai Maestri delle avanguardie e del Movimento Moderno. Certo, rosso è il vento grafico che giunge dalla Russia, sull’onda lunga che da Malevič passa per El Lissitzky, Rodchenko e tutto il Vkhutemas moscovita; ma a Milano giunge soprattutto filtrato dall’esperienza del Bauhaus, cui Vico fa spesso riferimento in scritti, conferenze e interviste. Com’è noto, a Weimar e Dessau il rosso aveva un ruolo importante nella pedagogia di Vasilij Kandinskij (che sintetizzando anche alcuni temi già esplorati da Goethe aveva fornito agli artisti del periodo un sistema di corrispondenze tra forma e colore), Johannes Itten, Josef Albers e Lázló Moholy-Nagy. Il rosso giunge a Milano tramite la tipografia di Herbert Bayer e degli altri Bauhäusler, che – attraversando la Svizzera, paese dove il rosso è colore nazionale – sarà fondamentale per la grafica di Boggeri, Max Huber e colleghi. E poi c’è ovviamente il rosso del neoplasticismo olandese, già citato a proposito dell’allestimento del 1945, che Vico guarderà con molta attenzione dal punto di vista volumetrico, spaziale e cromatico.
Casa Arosio, Arenzano, Da R. Aloi,Ville in Italia, Hoepli, Milano 1960
Facoltà di Biologia, Milano, con F. Soro (Photo: Gabriele Basilico / Archivio Gabriele Basilico)
Casa in via Cusani, Milano, ©Archivio Studio Magistretti – Fondazione Vico Magistretti
Sul fronte del design, il “RossoVico” è una costante più che evidente, a partire dalla Carimate (1959), che proprio nella vernice all’anilina rossa (allora usata per i giocattoli) trovò lo stratagemma per rinnovare l’immagine della tipica sedia campagnola, la sedia “da trattoria”, ora smagliante come una Ferrari. La Carimate nacque per il Golf Club dell’omonima località della Brianza (1958-61), caratterizzato da serramenti verniciati di rosso che accentuano il moto centrifugo delle terrazze spalancate verso il paesaggio, memori della lezione di Frank Lloyd Wright (anche nella Casa sulla Cascata troviamo serramenti rossi, sebbene di tono più scuro) e ancora di De Stijl. Come per le calze, basta un accento a cambiare il tono dell’intera figura.
Un altro artista rapito dal “rosso Carimate” fu Renato Guttuso, che la dipinse in varie versioni come icona del periodo, rinnovato archetipo dell’Italia degli anni Sessanta. Nell’opera del pittore siciliano il rosso virava tuttavia verso tonalità più marcatamente politiche: quelle del Partito Comunista Italiano per cui nel 1953 aveva disegnato il simbolo, con falce, martello e l’immancabile bandiera rossa.
Mondrian , © MoMA
Mondrian , © MoMA
Il rosso tra avanguardia e tradizione
Negli anni Sessanta, il rosso è un colore molto presente nell’arte (Magistretti ammira l’opera di Afro, allora impegnato a realizzare Il grande rosso, negli anni del Grande Rosso in plastica di Alberto Burri), così come nella vita urbana milanese. Il rosso della linea della metropolitana, scelto da Franco Albini e Franca Helg, rappresenta la Milano che si muove, rapida e modernissima, suggerendo un’immagine di semplicità e razionalità ben diversa da quella che accoglie i viaggiatori a Parigi, per esempio, dove l’ingresso nel sottosuolo è celebrato dalle linee vegetali e oniriche di Guimard.
Ma il rosso, ampliandone la gamma cromatica, non è solo modernità. Di fianco a Mondrian, nell’immaginario di Magistretti c’è anche il rosso impiegato nel Settecento dal pittore milanese Giacomo Ceruti (da lui molto apprezzato) per abiti di gentiluomini, popolani o militari di grado alto e basso, come i soldati (con le calze rosse!) che giocano a carte per strada, per la Natura morta con gamberi conservata alla Pinacoteca di Brera, o per le tuniche di soldati romani. Conoscendo l’amore di Magistretti per il latino, il rosso porpora dell’Antica Roma dovrebbe essere incluso nel discorso.
In questo gioco di associazioni, il riferimento più interessante sembra però molto più vicino: davanti al suo studio (e per anni alla sua abitazione) Vico poteva ammirare i rossi “milanesi” della basilica di Santa Maria della Passione.
Se il rosso, nella Carimate, è l’espediente per aggiornare l’archetipo (la sedia contadina), il colore può anche virare di tono, scurirsi e tendere al mattone, evocando tutt’altro tipo di memorie – dalla Scuola di Amsterdam al Castello Sforzesco – peraltro esplorate anche dagli altri giovani architetti che ruotavano attorno alla redazione della “Casabella” di Rogers. Dovremmo infatti parlare di rossi, non di uno solo. Magistretti lo sa bene e si muove tra il “rosso Carimate” e il rosso del mattone in via San Gregorio a Milano, dove la vicinanza dell’ultimo tratto superstite del vecchio Lazzaretto suggerisce il colore “vinaccia” della facciata (pannelli prefabbricati di cemento con finitura superficiale in graniglia), cui si aggiungeranno delle veneziane di qualche tono più accese.
Alberto Burri, Rosso Plastica, 1963 © Fondazione Burri
Torre al Parco, Vico Magistretti, © Pazdera
Torre al Parco, Vico Magistretti, © Pazdera
Curiosa è la storia della Torre al Parco (1953-56), proprio davanti alla Triennale, pensata e realizzata con un rivestimento esterno in graniglia di porfido su due toni di colore rosso e bruno scuro. Ad opera quasi terminata, «per imposizione della Società proprietaria e con loro [dei progettisti] grande rammarico», il suddetto rivestimento fu sostituito da un intonaco grigio che secondo Magistretti «altera profondamente il previsto gioco cromatico, toglie gran parte del desiderato movimento volumetrico e modifica sensibilmente il carattere originario del progetto anche in relazione all’ambiente circostante». I rossi di Vico, in questo caso, sembravano troppo azzardati per il real estate della Milano dell’epoca. Tornando al design: dopo la Carimate molti altri pezzi faranno affidamento su questo colore. L’aspirazione a un rinnovamento dell’interno borghese si può incontrare nelle versioni rosse delle lampade Teti, Telegono ed Eclisse (che con la sua rotondità potrebbe ricordare il rosso frutto proibito), così come nel rosso della Selene e in tutti gli altri oggetti in plastica, dove – rispetto alla sedia all’anilina – il colore non è applicato ma nasce insieme al materiale. Una differenza non da poco.
Si può introdurre a questo punto una breve riflessione a proposito dei significati del rosso nella storia del design italiano del secondo Novecento. Nell’immediato dopoguerra, il rosso è quello fiammante della velocità (la Berlinetta Cisitalia 202, 1947) ma anche il colore selezionato da geniali architetti come Vittoriano Viganò (Tre pezzi, 1946), Franco Albini (Luisa, 1949), Marco Zanuso (Lady, 1951) e Carlo Mollino (Auditorium Rai di Torino, 1951) per delle poltrone in cui il rosso allude al colore delle avanguardie e contemporaneamente – ognuno in diversa misura – alla memoria di arredi d’altri tempi, di sedute in velluto, di scenografie teatrali (a Milano il Teatro alla Scala, of course).
Diverso è il valore del rosso quando usato con ironia dai Castiglioni nel sedile da trattore del Mezzadro (1957), o in vista di una rigenerazione tipologica nell’aspirapolvere Spalter (1956), nella produzione Brionvega di Zanuso e Sapper, nel Serpentone di Cini Boeri (1971) e negli innumerevoli oggetti in plastica degli anni Sessanta e Settanta.
Avvicinandosi al 1966, annus mirabilis per la cultura del progetto, il rosso rilancia in parte quel valore politico che ebbe nell’immediato dopoguerra, inseguendo però orizzonti diversi con inediti strumenti. Si veda la versione rossa del Superonda di Archizoom (1966), primo divano senza scheletro, dalla configurazione libera, realizzato da un blocco di poliuretano.
Oppure la Sacco di Gatti, Paolini e Teodoro (1968), analogamente impegnata a rivoluzionare l’abitare borghese. Se la Bocca rossa (1968) di Studio65 e il Rossocactus di Drocco e Mello (1972) guardano piuttosto al pop, la Valentine di Ettore Sottsass (1969) – una Lettera 32 travestita da Sessantottina, secondo Giovanni Giudici – e la versione rossa della UP di Gaetano Pesce (1969) rimarcano il potere evocativo, e pure sovversivo, di un colore che in quegli anni dominava l’immaginario studentesco e operaio. Vico, che di certo osservò da vicino le manifestazioni studentesche, si mantenne però a debita distanza da simili attributi, anche se il rosso era stato per la sua generazione il colore della libertà raggiunta nel 1945. Da questo punto di vista, il significato che il rosso ha nell’opera di Magistretti sembra rimanere confinato in quella posizione di “architetto borghese” su cui costruì la propria immagine e fortuna professionale.

Lady, Marco Zanuso, Arflex, 1951, © Triennale Milano
Mezzadro, Achille Castiglioni e Pier Giacomo Castiglioni, Zanotta, 1957, © Triennale Milano
Serie MM1, Franco Albini e Franca Helg Bob Noorda, ATM Metropolitana Milanese, 1960, © Triennale Milano
Berlinetta Cisitalia 202, © Pininfarina
Raccontare il rosso
Dopo l’overdose di rosso degli anni Sessanta, Vico continuerà a usarlo anche nei decenni successivi. Si vedano il letto Kobe (1983) e la libreria Nuvola Rossa (1977), ispirata a un romanzo di Emilio Salgari, che però nacque in faggio naturale. Il rosso è uno dei colori più utilizzati per la coperta che riveste il divano Sindbad (1981) in cui Vico approfondisce l’abbinamento dei colori, poi ripreso anche in altri arredi come il tavolo Vidun (1986). In quest’ultimo caso, il rosso dell’anilina che ricopre il faggio sottolinea solo una parte dell’oggetto, avvicinandosi agli accenti proposti nell’architettura, in modo simile a quanto pensato per alcuni modelli di cucine Schiffini (Timo, 1980).

Nuvola Rossa, Cassina, 1977
Edison, Cassina, 1985, Photo: Aldo Ballo / Courtesy Cassina
Teti, Artemide, 1970
Eclisse, Artemide, ©Archivio Studio Magistretti – Fondazione Vico Magistretti
Un particolare tono di rosso (il “becco d’oca”) colora poi la struttura del tavolo Edison (1985) – composta da tubi del gas giuntati – in una delle sue varianti più riuscite. Il potere del rosso “magistrettiano” sarà colto e sfruttato in maniera particolare per la comunicazione e la pubblicità dei suoi oggetti. È un aspetto cruciale, non solo per l’opera di Vico, ma in generale per il modo in cui il design italiano si è posto e proposto al mondo.
Per Artemide, il rosso diventa bandiera dell’identità aziendale, come dimostra l’allestimento dei suoi showroom, per mano di Vico, intorno al 1972: pile di tavoli Demetrio in plastica rossa, sedie rosse, Teti rosse e pareti dello stesso colore.
Il rosso di Vico diviene il biglietto da visita di un’espansione culturale – e a stretto giro commerciale – di cui raccogliamo ancora oggi i frutti.
Allestimento mostra Vico Magistretti. Architetto Milanese, © Triennale Milano - foto di Gianluca Di Ioia
Allestimento mostra Vico Magistretti. Architetto Milanese, © Triennale Milano - foto di Gianluca Di Ioia
Crediti
Tratto dall'album RossoVico realizzato dal curatore della mostra Vico Magistretti. Architetto milanese Gabriele Neri.
In vendita presso il Triennale Store a un prezzo pari a 5 euro.