© Triennale Milano
Carlo Mollino viene raccontato attraverso una serie di lettere inedite
29 ottobre 2021
Architetto, fotografo, urbanista e progettista d'interni ma anche sciatore, automobilista, pilota di aerei, Carlo Mollino (Torino, 1905-1973) è stato protagonista del vivace ambiente culturale torinese tra le due guerre. È stato una figura fondamentale nell’ambito del design, dell'architettura e della cultura del progetto del Novecento, nei suoi lavori si fondono modernità e tradizione, arte e artigianato, estremo rigore e libertà creativa. La sua opera è caratterizzata da una profonda modernità pur promuovendo un ritorno all'artigianalità e al rapporto genuino con il manufatto artistico.
In occasione della mostra Carlo Mollino. Allusioni Iperformali, Triennale Milano presenta alcuni carteggi inediti in cui Carlo Mollino, criticando l'indirizzo preso dall’istituzione, prende le distanze dall’industrial design a favore della produzione artigianale.
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Nel 1952, in un suo articolo nella rivista “Atti e rassegna tecnica della società degli ingegneri e degli architetti di Torino” Carlo Mollino scrive: “L’artista autentico è sempre bifronte; viene dalla tradizione, cioè dal gusto contemporaneo, e procede al di là, dove il gusto comune non è ancora arrivato”.
Questo era proprio ciò che Gio Ponti, amico e collega di Mollino, ammirava in lui affermando: “Dell’artista egli ha il coraggio, la libertà, la sfrenatezza concettiva mista a bravura e a pignoleria d’esecuzione, la sensibilità al colore, alla materia, al disegno – in lui grandissima –, infine la lirica”.
Questa libertà e sfrenatezza applicati alla progettazione saranno oggetto dell’incontro-scontro con Triennale Milano.
Questo importante capitolo dell’epopea molliniana lascia trasparire alcuni tratti distintivi della sua opera e del suo pensiero, un’idea di bellezza in contrasto con l’ideale meccanicistico-scientifico, l’approccio artigianale all’oggetto e una cauta armonia nel prendere parte al dibattito professionale del suo tempo.
Dei rapporti altalenanti con Triennale si ha testimonianza in una lettera autografa, conservata negli Archivi di Triennale Milano, indirizzata al membro della Giunta Esecutiva Elio Palazzo, in cui Mollino mostrava di non volersi allineare all’establishment della produzione industriale e lamentava una sottostima del lavoro del piccolo artigiano. Quest’ultimo, infatti, era “sporadicamente disposto ad entusiasmarsi e collaborare con architetti”, una “collaborazione a volte fin commovente per comprensione ed agilità nativa di gusto“.
I progetti che gli venivano assegnati erano però eccessivamente onerosi e quindi irrealizzabili. Egli non avrebbe accettato dunque di prenderne parte “per il solo gusto di saperli esposti in Triennale”.
Le imprese, d’altra parte, a suo avviso si appiattivano sul gusto corrente, scoraggiando la creatività e rifiutando idee troppo ambiziose o eccentriche. Si riassume così la sua polemica verso l’istituzione e tutta la catena produttiva a essa legata. Egli accennava inoltre a una riunione sullo stesso argomento tenutasi a Torino con la partecipazione della Giunta e dell’amico Ettore Sottsass Jr. I toni della corrispondenza restituiscono l’idea dei motivi per cui Mollino non partecipò alla 9ª Triennale.
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Caro Prof. Palazzo,
Rispondo alla Sua cortese del 5 corr. (EP/js) e contemporaneamente alla cliclostylata della Giunta Esecutiva (FA/GG/la, 3408) purtroppo “nessuna nuova”, in quanto non ci siamo ancora riuniti. L’amico Sott-Sass da me sollecitato, dato che eravamo d’accordo che lui doveva radunarci, mi ha promesso che in settimana avrebbe provveduto. Comunque non credo che da questo raduno di architetti torinesi sortrà gran cosa e non per colpa di Sott-Sass. Dalla riunione avuta con voi, Giunta, a Torino, a costo di sembrare guastafeste, ho premesso chiaramente, appena entrato, che, se avremmo trovato colleghi disposti a collaborare, avremmo, per contro, trovato il “vuoto” o quasi tra gli artigiani esecutori di quanto da noi progettato. Ho altresì aggiunto, in base ad esperienze “di lustri” che personalmente non avrei potuto e voluto, per ovvie ragioni che ho anche esposte, dedicarmi alla “sollecitazione” di detti esecutori e artigiani comunque. Questo è il problema che si presenta a Torino monotonamente ad ogni Triennale: 1° Le grandi ditte rifiutano per la quasi totalità ed ostentatamente di aderire all’invito di architetti o comunque di lavorare sotto disegno dei medesimi. Desiderano esporre senza discussione e con gli orrori dai loro disegnatori interni elaborati. 2° Le industrie di materiali e oggetti in serie ancora, rifiutano di imbarcarsi nello “studio” di “modelli” nuovo e rischiosi in quanto “pezzi d’élite” (sic) che temono non accettabili dal gusto corrente. Questa loro presunzione nasce anche dal fatto che “costituzionalmente” i dirigenti sono lontanissimi dai problemi e da ogni movimento di gusto qualunque. Qui a Torino è uno stato che oso affermare normale. 3° Il piccolo artigiano è sporadicamente disposto ad entusiasmarsi e collaborare con architetti. Infatti le realizzazioni che ho avuto la soddisfazione di varare per clienti privati e perciò che commissionano e pagano, sono state tutte possibili mercé questa collaborazione a volte fin commovente per comprensione ed agilità nativa di gusto. Comunque questi piccoli artigiani non possono e non vogliono lavorare a fondo perduto, esponendo cifre per loro non indifferenti, per realizzare “pezzi”, “ambienti”, ecc. per il solo gusto di saperli esposti alla Triennale. Non c’è da offendersi se affermo che a loro gusto questo fatto, se li lusinga astrattamente, praticamente “non frega proprio niente”. Caro Palazzo, preferisco essere chiaro anziché perdermi in “faremo” e “vedremo”. Ho un senso forse eccessivamente realistico della situazione; ma è doveroso che lo esponga senza continuare a favorire vaghi raduni destinati a concludere impercettibili risultati. Questo riassume quanto ho detto alla Giunta quando è venuta a Torino, e che forse è sfuggito a causa dell’ottimismo programmatico generale anche dei miei colleghi di Torino che erano quel mattino presenti. Mi auguro che i fatti smentiscano questo mio quadro della situazione. Pertanto non posso fare a meno di esprimere quanto l’esperienza precedente mi suggerisce. A parer mio, occorre, per Torino, impostare la faccenda in modo differente e soprattutto senza contare su adesioni “astratte” anche se in buona fede, che invariabilmente conducono a risultati per cui Torino minaccia di andare famosa.
Molto cordialmente ti stringo la mano.
f.to suo Mollino
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