Triennale Milano
Open call Milano Arch Week 2023

Durante la settimana di Milano Arch Week, dal 7 all’11 giugno, Triennale ospiterà quattro tavoli di lavoro che rifletteranno su tematiche centrali nel dibattito contemporaneo. I temi, riguardanti il lavoro in architettura, la ricostruzione in Ucraina, la casa e la scuola, sono stati proposti da Nina Bassoli, curatrice per Architettura, rigenerazione urbana e città presso Triennale Milano.
Per ognuno di questi temi è stato individuato un curatore che, oltre a proporre degli ambiti di riflessione e spunti critici, è chiamato a moderare il dibattito. Il tavolo di lavoro è inteso come un momento di discussione multidisciplinare in cui possano sovrapporsi diversi ambiti e prospettive. Per incoraggiare tale pluralità di voci, i relatori sono in parte invitati dal curatore del tavolo, in parte selezionati attraverso una open call basata sull’abstract che ciascun curatore ha proposto per il tavolo. Per ciascun tavolo ci si pone come obiettivo la stesura di un documento che raccolga proposte concrete inerenti alla tematica affrontata.
Candidati qui LA CONDIZIONE DEI GIOVANI COLLABORATORI NEGLI STUDI DI ARCHITETTURA A cura di ULLARC – Unione lavoratrici e lavoratori in architettura La precaria condizione lavorativa dei giovani professionisti nel mondo della progettazione sovrappone diversi livelli: quello economico, normativo e di tutele, ma anche quello delle implicazioni sociologiche e psicologiche che rendono il quadro particolarmente problematico. Il tavolo di lavoro cerca di restituire la complessità della questione, osservandola da prospettive diverse e interrogandosi sulle possibilità concrete di affrontare il problema a diversi livelli. Negli ultimi quindici anni, in diversi paesi europei e in Nord America, si evidenzia un nuovo interesse politico e sindacale per le condizioni di lavoro degli architetti, e in particolare dei giovani, che lavorano stabilmente presso studi e società di progettazione: in Spagna, è attivo il Sindicato de Arquitectos (attivo dal 2008, subito dopo lo scoppio della “bolla immobiliare” iberica); in Portogallo, il Sintarq (Sindacato dei lavoratori in Architettura, dal 2020); in Gran Bretagna, il Future Architects Front e la “Section of Architectural Workers” della Union “United Voices of the World”; in Olanda, il gruppo NAA! (Nederlands Angry Architects); negli Stati Uniti d’America, la Architecural Workers United si batte per una professione equa e The Architecture Lobby ha fornito alcuni contributi teorici al dibattito.
Gli aspetti ricorrenti nelle analisi di attivisti e sindacalisti sono legati principalmente ai bassi compensi riservati a chi inizia, all’alto livello di stress e agli orari di lavoro eccessivi; le parole chiave ricorrenti sono: sfruttamento, precarietà, bassi salari, abusi di potere e assenza di tutele.
Per la prima volta nella storia assistiamo al tentativo di individuare, nell’ambito della progettazione architettonica e dei mestieri affini, una collettività di lavoratori sfruttati, in opposizione al gruppo di chi sfrutta. "Siamo assistenti alla progettazione, tecnici BIM, lavoratori amministrativi, designer d'interni, modellisti, architetti del paesaggio, architetti tecnici, urbanisti, renderisti, designer grafici, studenti, educatori, addetti alle pulizie, ricercatori, artisti, staff di supporto agli studi e architetti. NON SIAMO i capi, l'establishment dell'architettura o quelli che hanno il potere di assumere e licenziare" (Section of Architectural Workers - United Voices of the World).
Secondo Marisa Cortright, il sistema produttivo e culturale dominante rende problematico l’autoriconoscimento degli architetti come lavoratori perché sono prigionieri di una vocazione artistica usata come leva di sfruttamento: “Gli studi di architettura devono nutrire il senso di vocazione tra i propri architetti in modo da trattenerli al lavoro anche quando non possano o non vogliano aumentare loro stipendi e benefici. [...] Riformulare le aspettative degli architetti riguardo alla natura del proprio lavoro li spingerebbe come lavoratori a reclamare i propri diritti e le giuste compensazioni per tirocini e straordinari non pagati”.
In Italia, il riconoscimento pubblico di una collettività di lavoratori sfruttati nella progettazione è reso ulteriormente difficile da alcuni fattori principali: terminato il percorso di studi i giovani vengono spinti ad aprire una partita IVA, formulare la propria offerta individuale in sede di colloquio ed iscriversi ad un Ordine professionale anche se non firmeranno quasi alcun progetto per diversi anni. Non esistono contratti nazionali che inquadrino la figura dell’architetto e la pratica della finta partita IVA dilaga nella maggior parte degli studi e delle società di progettazione. In secondo luogo, i grandi studi si concentrano perlopiù in alcuni contesti metropolitani ma l’intero territorio è ricchissimo di studi medio-piccoli, all’interno dei quali è ancora più difficile decifrare con chiarezza i rapporti di sfruttamento, spesso schermati dalla vicinanza - economica, anagrafica o di mansioni - fra titolari e sottoposti, o dalla posizione di subappaltatori tecnici che tali studi ricoprono nei confronti di quelli più grandi e organizzati. Infine, a sfavore dei giovani gioca un senso diffuso di svalutazione dell’apprendistato, visto come condizione da punire o al più come dono del titolare nei confronti del lavoratore, considerato incapace di fornire qualsiasi contributo valido.
Questo tavolo di discussione ambisce a problematizzare la condizione giovanile nei mestieri della progettazione architettonica non solo dal punto di vista economico e di tutele, ma guardandola attraverso diverse lenti: quali chiavi possono fornire gli studi sociologici e psicologici per indagarne le ricadute sul piano individuale e dei rapporti sociali? Come la storia del lavoro può illuminare alcuni snodi cruciali nelle vicende di emancipazione e frammentazione della collettività lavoratrice? Giurisprudenza ed esperienza sindacale possono aiutarci ad immaginare modi di superare la situazione esistente, attraverso l'applicazione e la modifica delle leggi e costruendo solidarietà?
Al tavolo sono invitati architetti, sociologi, giuslavoristi, storici del lavoro, psicanalisti e chiunque altro voglia contribuire alla discussione.
– Moderatore: Mauro Sullam, ULLARC – Supporto alla moderazione: Danilo Iannetti, ULLARC – Relatori: Florencia Andreola (ricercatrice indipendente), Andrea Borghesi (Nidil CGIL), Elena Lott (Sindacato Slang US), Junior Perri (ULLARC), Martino De Rossi (Studio Collaboratorio, Helsinki), Annalisa Murgia (sociologa, UniMI), Eloisa Betti (storica del lavoro, UniPD), Ivan Assael (avvocato giuslavorista, Studio Moshi) RECONSTRUCTION OF THE CITY. CASE STUDIES AND GUIDELINES Irpin Reconstruction Summit, an example of Sustainable Community Resilience for Ukrainian Rebirth Curated by Irpin Reconstruction Summitt La ricostruzione della città richiede una visione stratificata e strumenti in grado di intervenire alle diverse scale, rispondendo ad urgenze ed esigenze particolari, facilitando il dialogo tra i diversi attori coinvolti, dalla municipalità agli stakeholder, intersecando il Masterplan a progetti locali. Il caso della della città di Irpin e le attività di Irpin Reconstruction Summit diventano così occasione di una riflessione molto ampia, che riguarda il futuro della città, il senso della pianificazione e le sinergie locali, nazionali ed europee in grado di generare buone pratiche. The workshop will be organized in 3 parts PART I – Irpin, destroyed but not conquered
After the opening Remarks and institutional greetings from Ukrainian and Italian Authorities, the Irpin Reconstruction Summit will present its work. A panel involving stakeholders and a talk by Gensler, the designers who are designing Irpin’s masterplan provide an overview on the year of IRS’ activities.
– Moderators: Iryna Yarmolenko, Domenico Vito, Nicolò Caldanise, Darina Katkalo – Speakers: Maria Lucrezia De Marco (Stefano Boeri Architetti), Oleksandr Markushyn (Mayor of Irpin), Dmytro Negresha (Irpin Deputy Mayor), Emanuele Bolla (Vice Mayor of Alba), Volodymyr Karpliuk (Head of Investment Group IRS), Yuliya Chufistova (Club of Mayors of Ukraine), Walter Togni (CCIPU), Bruno Neri (Terres des Hommes), Roberto Cenati (ANPI), Marco Mari (Green Building Council Italy), Andriy Mitchenko (CEO Ecosoft BWT), Helen Yampolska (IRS), Nadiya Volchansky (Gensler) PART II – Where do we want to get? – Envisioning the Future
Participants are invited to draw/write their ideas for the future city on provided architectural plans, contributing to a collective vision for Irpin.
– Moderators: Domenico Vito, Zoryana Tykhonchuk (Khomyn) – Speakers: Zoryana Tykhonchuk (Khomyn), Mihailo Sapon (Irpin Technical Office), Alessandro Cini (Restauro e Arte), Franco Tagliabue (Politecnico di Milano), Gyler Mydyti (KCAP IBA Ukraine), Edian Mece (Municipality of Tirana), Filippo Queirolo (Fondazione Da Vinci), Marco Caffi (GbC Italia) PART III – Community Resilience in practice
Presentation on the principles of "build back better", transparency, participatory approach, multilevel, and inclusivity, linking these principles to architectural approaches and the physical cityscape. The audience is invited to discuss and share their thoughts on the principles and strategies. Participants are encouraged to provide their ideas and feedback on initial project sketches and proposals, actively contributing to the rebuilding process. Each session is designed to be self-contained, allowing participants to follow along even if they only attend one or two of the sessions. As these sessions are interactive, participants are encouraged to actively engage in discussions, share their ideas, and contribute to the future of Irpin. The discussion will focus on five thematic areas: Art and Heritage and Memorials, Transportation and Logistic, Sustainability and Innovation, Community Involvement, Smart City and Digital Innovation.
– Moderators: Zoryana Tykhonchuk, Domenico Vito, Darina Katkalo, Nicolo Zavarise, Alina Yaremenko, Vladislav Malashevskyy, Iryna Yarmolenko, Alina Savenok LA CASA E LA CITTÀ Se la casa diventa un prodotto finanziario A cura di Federica Verona Milano, pur essendo una città attrattiva, non sembra in grado di rispondere efficientemente alla richiesta abitativa in modo inclusivo. La questione del diritto alla casa coinvolge tutti gli attori che oggi trasformano la città e riguarda i nuovi interventi di housing sociale, ma anche la gestione del patrimonio residenziale pubblico esistente. Il fatto che l’abitare e la casa rientrino ad essere centrali nel dibattito pubblico e politico, mette in evidenza come lo crescita di una città come Milano debba ancora fare i conti con l’impatto delle grandi trasformazioni, con i processi di gentrificazione e la disuguaglianza urbana. In questo senso la riflessione sulla casa è una chiave di lettura fondamentale per osservare criticamente il modello di sviluppo urbano attuale e, rispetto ad esso, interrogarsi su quale futuro sia auspicabile per Milano. Milano è diventata una città a due velocità, da un lato chi corre per raggiungere profitti, successi, ambizioni e dall’altro chi corre per arrivare a fine mese. Se ne parla molto in questi tempi, ma Milano è così da molto tempo, in particolare da quando Expo ha dato a questa città una dimensione attrattiva dal punto di vista turistico e da quando Milano è diventata appetibile per gli investitori immobiliari che hanno fatto diventare “la casa” un prodotto finanziario a tutti gli effetti. Fondi di investimento, grandi aree di trasformazione oggetto di interessi immobiliari, interi quartieri brandizzati ad uso e consumo delle immobiliari che di Nolo, per fare un esempio ormai celebre, hanno colonizzato il futuro espellendo di fatto le famiglie straniere che di Via Padova, quando nessuno ci voleva andare, hanno di fatto tenuta viva un’arteria della città. Non è bastata la pandemia e nemmeno la crisi a livello mondiale, provocata dai conflitti in corso, per fermare la corsa all’espansione di Milano ormai caratterizzata da prezzi delle case alle stelle e per questo inaccessibile non solo ai poveri, ma anche alla cosiddetta zona grigia, ovvero la classe medio bassa, che nella città lavora ma non può permettersi di vivere.
Pensiamo ai lavoratori con un reddito compreso tra i 1.000 e i 1500 euro al mese. Parliamo di chi guida i tram oppure lavora al bar, al ristorante o negli studi professionali e non può sostenere i costi dell’affitto che in media per le aree medio urbane arriva a superare i 900 euro al mese per un bilocale né, tantomeno, può acquistare una casa che oggi può arrivare a costare anche 5.000 euro in zone periferiche se toccate dalla metropolitana o da grandi trasformazioni urbane. Così, se l’accesso alla casa diventa difficile per i più poveri, anche la working class che manda avanti questa città è destinata ad essere catapultata fuori dalla città stessa. Ma d’altro canto, se in centro un abitante su sei dichiara un reddito di 120.000 euro, a Roserio e Quarto Oggiaro i redditi dichiarati non superano i 12.000 euro (YouTrend). E, come bene ci dice Oca l’Osservatorio Casa Affordable - strumento neonato dal mondo cooperativo in particolare dal Consorzio Cooperative Lavoratori, Delta Ecopolis e Politecnico  - un operaio che guadagna 1500 euro al mese potrebbe permettersi l’acquisto di soli 19 mq tenendo conto delle spese accessorie e del mutuo.
Questo fenomeno espulsivo dovrebbe essere una sfida centrale per la politica, anche quella nazionale, la quale dovrebbe ricominciare a pensare che il tema casa correlato al lavoro è un’urgenza fondamentale da cui ripartire. Tra le tante scelte possibili e necessarie, sarebbe importante, finalmente, esercitare una visione del futuro che inizi a guardare questi temi, e a fare scelte, al livello della Città Metropolitana.
Sarà infatti fondamentale interrogarsi rispetto a come Milano dovrà espandersi e in quale direzione. È naturale pensare, se si percorrerà questa via, che le politiche della casa debbano integrarsi con quelle del lavoro ma anche della mobilità, con un pensiero attento ai servizi culturali e di prossimità: servizi essenziali  per la vita di chi popolerà sempre di più i comuni della città metropolitana.
Ma soprattutto servirebbe un pensiero forte e di grande guida da parte del pubblico rispetto alla relazione pubblico/privato. Questa dinamica espulsiva rischia di essere accelerata dalle stesse logiche di finanza immobiliare che abbiamo visto generarsi nella città  e che necessiterebbe, per essere frenata, di una visione coraggiosa per evitare di fare grande Milano ampliandone i margini e costruendo con la stessa logica espulsiva che critichiamo.
– Moderatrice: Federica Verona – Relatori: Franz Forcolini (Abitare Via Padova), Sara Gainsforth, Ilaria Lamera (Movimento delle tende, PoliMI), Luca Lo Bosco (Movimento delle tende, PoliMI), Bertram Niessen (Che_Fare/ Abitare il vortice), Ermanno Ronda (Sindacato Inquilini) LA NUOVA SCUOLA La nuova scuola alla ricerca della qualità A cura di Fondazione Agnelli La rete scolastica costituisce una vera e propria infrastruttura della città pubblica. In questo senso la progettazione delle nuove scuole permette di riflettere su questioni tipologiche e gestionali, per immaginare come gli spazi scolastici possano interagire con le istituzioni culturali e diventare servizio per il quartiere e la città. Attraverso il dialogo tra diversi ambiti, dalla progettazione all’amministrazione scolastica, il tavolo cerca di individuare i punti su cui avviare una riflessione riguardo alla qualità progettuale come risultato di processi virtuosi, resi possibili dalla costruzione di un linguaggio comune tra settori e forme di sapere ad oggi poco dialoganti. Sono oltre quarantamila gli edifici scolastici in tutta Italia. Hanno raggiunto e spesso superato la mezza età, due su tre sono stati costruiti prima del 1976, hanno problemi evidenti come quelli legati alle strutture e agli impianti e spesso sono stati concepiti per ospitare un’unica tipologia di didattica, quella trasmissiva. Negli ultimi anni, anche a seguito di gravi fatti di cronaca, abbiamo assistito ad un ritrovato interesse sul tema. Si sono susseguite iniziative pubbliche e private con un gran numero di assi di finanziamento, unità di missione, linee guida, concorsi di architettura, rapporti di ricerca. In ultimo è arrivato il PNRR con un importante stanziamento che prevede quasi 14 milioni di euro per interventi di edilizia scolastica che vanno dagli asili alle nuove scuole, passando per mense, palestre e laboratori. Nonostante questo (almeno apparente) rinnovato interesse sul tema, ciò che appare ancora assente è la qualità delle scuole realizzate in Italia. Quali sono gli ostacoli? e cosa può fare ciascuno degli attori implicati per raggiungere l’obiettivo comune di avere scuole di qualità?
Il punto di partenza della discussione è costituito da alcune questioni ineludibili.
La prima riguarda i processi. Scuole di qualità (intesa come l’incontro fra qualità architettonica e qualità della vita dentro la scuola) non possono prescindere da processi di qualità. Le modalità del dialogo con la committenza, della scelta dei progettisti, della realizzazione degli appalti (solo per riprendere tre dei tanti passaggi del processo) influenzano in modo significativo i risultati finali. L’individuazione e il ruolo dei soggetti coinvolti è un primo nodo: sappiamo che l’edificio scolastico (come altre opere pubbliche) ha una committenza eterogenea: da una parte la comunità scolastica con le sue esigenze e dall’altra gli Enti Locali, proprietari e gestori. Questo costituisce un primo nodo da sciogliere trovando nuove modalità per strutturare un dialogo fra soggetti che spesso non hanno linguaggi comuni e non ha dei momenti previsti nel processo edilizio. La voce della scuola deve trovare un posto riconosciuto nel ripensamento (o costruzione) degli edifici. In questo dialogo, opportunamente strutturato, dovrebbe poter passare un’idea di scuola da trasferire ai progettisti che tenga conto anche delle modalità didattiche più innovative, attive, ibridate con il contributo del digitale.
A queste istanze, troppo spesso ignorate, si incrociano altri fattori più di contesto che incideranno in modo sostanziale sulla gestione del patrimonio scolastico negli anni a venire.
Sono sotto i riflettori gli andamenti demografici italiani che prefigurano una drammatico restringimento della popolazione: le più recenti stime sul calo demografico prevedono che tra il 2020 e il 2032 la popolazione scolastica (3/18 anni) diminuirà di oltre 1,8 milioni di persone. In termini di organizzazione scolastica questo implica circa 94.000 classi in meno nel 2032. Il dato non può non interrogare anche la pianificazione e la gestione degli edifici. Come usare al meglio gli spazi avendo sempre meno alunni? è possibile pensare a immobili con usi misti? in quali contesti?
La tanto acclamata apertura delle scuole al territorio diventa quindi un tema concreto da affrontare in termini di accordi e procedure e non di casi singoli di Patti educativi di comunità attivati da dirigenti illuminati. Come si passa dalla best practice alla pratica comune e diffusa? di quali strumenti hanno bisogno le scuole e gli Enti Locali per queste gestioni?
Un altro driver della trasformazione è certamente rappresentato dal filone della sostenibilità declinato nei suoi tanti aspetti. Migliaia di metri cubi costruiti spesso in velocità, energivori, in molti casi poco confortevoli per l’utenza, di difficile manutenzione: come progettare per loro una riconversione in linea con le più recenti sensibilità soprattutto dei più giovani?
Accogliere la diversità perché la scuola sia sempre più lo spazio di tutti ripensato non solo in termini di abbattimento delle barriere architettoniche, ma in modo radicalmente inclusivo. Si pensi ad esempio alle polemiche sulla suddivisione di genere dei bagni in alcuni istituti superiori.
Infine, perché tutto questo sia possibile e realizzato in modo razionale non si può prescindere dai dati. Una programmazione su un patrimonio così vasto e diversificato, oggetto di numerosi interventi, in mano a diversi attori, deve farsi a partire da dati affidabili e aggiornati. L’Anagrafe dell’edilizia scolastica, istituita nel 1996 e mai completata ci interroga sulla funzionalità dello strumento stesso. Esistono altri modi per gestire un patrimonio con queste caratteristiche? come integrare in questi database le informazioni edilizie con quelle relative all’uso degli spazi.
La discussione durante l’arch week di Milano ambisce a mettere a fuoco alcune questioni concrete fra quelle qui accennate, sfruttare l’occasione di condivisione fra attori diversi per trovare dei punti di partenza comuni da sottoporre all’opinione pubblica e ai decisori.
Al tavolo sono invitati progettisti, dirigenti scolastici, insegnanti, ricercatori, rappresentanti degli Enti Locali e degli Ordini degli Architetti, e chiunque altro voglia contribuire alla discussione.
– Moderatrice: Raffaella Valente (Fondazione Agnelli) – Relatori: Carlotta Bellomi (Save the Children), Francesco Bargiggia (Regione Lombardia), Lorenzo Consalez (Consalez/Rossi Architetti Associati), Simona Galateo (Fondazione OAMi), Marialisa Santi (Presidente Fondazione OAMi), Chiara Scortecci (architetta), Franco Tagliabue (ifdesign)