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Triennale Milano
sacre
Foto John Nguyen

Stravinskij nel teatro contemporaneo dei Dewey Dell

7 aprile 2023
Il 15 e 16 aprile 2023 Dewey Dell, compagnia di riferimento della scena performativa internazionale, presenta nel teatro di Triennale Milano la sua versione del capolavoro del 1913 Le sacre du printemps. Per l’occasione, abbiamo intervistato i membri della compagnia Agata Castellucci, Demetrio Castellucci, Teodora Castellucci e Vito Matera. 
Riferendosi tanto alla storia dell'arte quanto al regno animale, alla danza come alle performing arts, la ricerca della compagnia cesenate si è contraddistinta, fin dalla sua fondazione nel 2006, per scene ibride e sperimentali. La scelta di confrontarsi con Le sacre du printemps di Stravinskij può quindi essere interpretata come un ulteriore avvicinamento a temi antropologici e metafisici, mediante un’indagine scenica dell'intenso rapporto tra morte e vita analizzato in una trasposizione radicale.
Alla sua prima rappresentazione nel 1913, l’opera Le sacre du printemps con musica del compositore russo Igor Stravinskij provocò reazioni talmente estreme da essere considerata uno dei più grandi scandali della storia contemporanea della musica e del balletto. L’armonia quasi politonale, i temi ispirati al folclore russo contadino e al paganesimo antico – giudicati scabrosi soprattutto nel finale dedicato al sacrificio dell’Eletta, vergine prescelta che danza fino alla morte –, uniti alle coreografie sperimentali di Vaclav Nižinskij e alle scene e ai costumi inusuali per l’epoca firmati da Nikolaj Roerich, collocano l’opera tra le più avanguardiste del primo Novecento.
Foto John Nguyen
Dewey Dell: Il linguaggio delle arti è molto efficace e stratificato. La complessità dei significati che la visione e l’ascolto di un’opera innescano nel pubblico non trova corrispondenza in una nomenclatura rigida delle arti. La creazione va oltre il  “riconosciuto”. Le sacre du printemps di Stravinskij è stata da sempre fonte di profonda ispirazione compositiva e sorgente inesauribile di immagini. Il pubblico pare quasi assumere il ruolo della preda, o forse della vittima sacrificale dei misteri dionisiaci: atteso in antri oscuri, colto alla sprovvista, confuso, terrorizzato, attratto e infine violentemente divorato (sparagmòs). Assiste a uno spettacolo senza tregua, in costante stato di allerta. Sin dal suo debutto nel 1913 Le sacre du printemps si propose come un’opera problematica dal punto di vista della coreografia, firmata da Vaclav Nižinskij. Lo scarto ineludibile tra ascolto e visione si materializza inoltre nello scarto tra l’immagine interiore dello spettatore, trascinato dall’energia furiosa e seducente della musica, e la realtà materiale della messinscena, che non riesce ad assecondare questo impeto. Comporre una coreografia per Le sacre per noi ha significato mettersi in una condizione di pericolo, e inevitabilmente di ovvia sottomissione. Ingredienti perfetti per portare avanti una ricerca artistica che, per sua natura, compie i primi passi brancolando nel buio. La celebrazione del mistero della primavera, della violenta venuta al mondo della vita, non può non avvenire senza un cataclisma, senza un pensiero che includa la morte. La vita è possibile proprio perché la morte la annienta. Questo nell’opera di Stravinskij appare chiaro, non solo nella struttura delle pause e dei fragori di suono ma proprio nella sua relazione con lo spettatore. 
© Dewey Dell
Francesco Melchiorri: Lo spettacolo vede il coinvolgimento di cinque danzatori, calati in una scenografia e con indosso costumi ispirati al regno delle muffe, antichissimi organismi “ponte” e dal forte carattere simbolico, in quanto fondanti la propria vita a partire dalla morte di altri esseri viventi. Inoltre, unite alle musiche dell’opera originale, come preludio e finale fanno da cornice alcune composizioni ispirate o trasposte dai canti monodici della tradizione folklorica lituana, frutto di una ricerca filologica volta a mettere in dialogo La sagra stessa con le sue possibili fonti ispiratrici. 
DD: Sono pochi gli spettacoli di danza o teatro di cui sentiamo una forte influenza, se ci pensiamo bene sono sempre altre forme d’arte a farci cadere in potenti correnti gravitazionali. Tra queste sicuramente il cinema, la letteratura, il disegno, la fotografia e la musica. Selezionare solo alcuni nomi è difficile ma ecco un tentativo di elenco di quelli che hanno avuto un peso diverso durante la creazione de Le sacre: Loïe Fuller, Gina Pane, Karl Blossfeldt, Emanuele Coccia, Teodor Currentzis, Novalis, Sutartinės Lituane, Jean Renoir, Stan Brakhage, Renè Girard, The Field Museum di Chicago, Wilson Bentley fotografo di soli fiocchi di neve.
FM: Per quanto tutte legate da un fil rouge delicato ma comunque riconoscibile, le proposte performative di Dewey Dell hanno vissuto una personalissima evoluzione nel tempo, nel segno di una libertà espressiva perfettamente autoconsapevole, di cui La sagra della primavera risulta con evidenza quasi violenta un esempio emblematico.
DD: Quando iniziammo a fare spettacoli non eravamo neanche ventenni e il nostro rapporto con l’immagine era assoluto. Pensavamo che le immagini da sole potessero tessere un’idea di visione nella mente dello spettatore. Alla sola estetica, che per noi era tutto, affidavamo la trasmissione di una drammaturgia chiara. Con il passare degli anni abbiamo sviluppato un pensiero più profondo sulla problematicità della rappresentazione stessa e ci siamo sorpresi di come questo abbia reso la nostra estetica iniziale ancora più libera e aperta.