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Triennale Milano
Serie Mapan, Arnolfo di Cambio, progetto 1968, produzione 1970, foto Federico Manusardi, Triennale Milano
Serie Mapan, Arnolfo di Cambio, progetto 1968, produzione 1970, foto Federico Manusardi, Triennale Milano

Sergio Asti visto con gli occhi di Alessandro Mendini, Vittorio Gregotti, Alba Cappellieri, Mario Piazza e Ettore Sottsass

5 marzo 2021
Nel marzo del 1986 Alessandro Mendini scriveva un appunto rivelatore delle qualità di Sergio Asti: “piano piano succede che un certo progettista (Sergio Asti), senza quasi accorgersene, si trovi ad avere disegnato oggetti di vetro per venti, magari per trenta (!) anni... Uno dopo l’altro, quasi (!) casualmente, sempre in condizioni diverse, con tante tecniche diverse (artigianali, semi-artigianali, molto industriali eccetera), fra tanti altri lavori, problemi e materiali diversi. Così capita che Sergio Asti, nel mostrarmi questi suoi ultimi (e molti) vetri (scatole, ciotole, bicchieri in molte varianti), mi faccia pure vedere, pezzo per pezzo, una sorta di vera e propria retrospettiva del suo amore (tensione, iper-sensibilità) verso il vetro. Una vera e propria mostra storica: una organica, coerente e sicura concezione di questo materiale luce, delle finezze, delle delicatezze, delle riscoperte, del romanticismo che transitano attraverso il brillare e il colorare di questo straordinario (extra-ordinario) materiale privilegiato. Guardando queste cose, ripercorro in sintesi tutta la precisa, delicata, ma forte, poetica di Sergio Asti. E ritrovo in queste sue ultime opere il suo aristocratico classico gusto di Bel Designer, unito agli intuiti che lo collegano oggi al neo-gusto del design neo-artigianale”¹.
Daruma, Fontana Arte, progetto 1966, produzione 1971, foto Amendolagine Barracchia, Triennale Milano
A partire da questo inquadramento tipicamente mendiniano che aggiunge sfumature al solido ruolo di affermato architetto e designer di Sergio Asti, vorremmo ripercorrere alcuni passaggi delle sue intuizioni progettuali attraverso le voci del già citato Alessandro Mendini e poi di Vittorio Gregotti, Alba Cappellieri, Mario Piazza e Ettore Sottsass. Alla luce di una piacevole conversazione avvenuta nella dimora dell’architetto lo scorso primo febbraio, qui ripercorriamo un allestimento in Triennale, un’architettura e una maniglia ma soprattutto un atteggiamento.  La ragione dell’incontro è il desiderio civile e la legittima energia di un senatore del design italiano classe 1926 che non guarda a Triennale Milano come all’istituzione museale che conserva una collezione di suoi progetti, ma al Palazzo dell’Arte che custodisce memorie di vicende professionali fondamentali. Tra queste c’è l’allestimento della mostra internazionale dell’industrial design firmato con Gianfranco Frattini.  Siamo nel 1957 e la mostra fu progettata per la XI Triennale. La grafica della mostra fu affidata a Giulio Confalonieri e Ilio Negri. Lo spazio espositivo fu organizzato sotto un ordito di lampade che illuminavano un’ampia area divisa per temi e tipologie. Una narrazione alfabetizzante che avvicinava il disegno industriale al grande pubblico attraverso un ragionamento cristallino: la cultura materiale abita la vita quotidiana dell’utente, nonché l’estetica applicata all’industria è funzionale alla qualità ambientale delle diverse sfere che l’uomo abita.

Seconda parte della Mostra internazionale dell'Industrial Design, progetto dell'allestimento degli architetti Sergio Asti, Gianfranco Frattini, grafici Giulio Confalonieri e Ilio Negri, 1957 - Triennale Milano
Seconda parte della Mostra internazionale dell'Industrial Design, progetto  dell'allestimento degli architetti Sergio Asti, Gianfranco Frattini, grafici Giulio Confalonieri e Ilio Negri. In primo piano macchina da cucire Borletti, 1957 - Triennale Milano
Portafiori in vetro e vetro bianco disegno di Sergio Asti esposti sul quinto ripiano  della sala quadrata della mostra Le produzioni, 1964 - Triennale Milano
 Mostra internazionale dell'Industrial Design, progetto dell'allestimento degli  architetti Sergio Asti, Gianfranco Frattini, grafici Giulio Confalonieri e Ilio Negri, 1957 - Triennale Milano
Tizianella, Olivari, progetto 1959, produzione 1959-1962, foto Amendolagine Barracchia, Triennale Milano
Tizianella, Olivari, progetto 1959, produzione 1959-1962, foto Amendolagine Barracchia, Triennale Milano
“L’ossessione per la qualità mi sembra il centro del lavoro di Sergio Asti”, ha scritto Vittorio Gregotti², Collezionista della qualità, Asti spinge il proprio puntiglio sino alla scatola di fiammiferi. Ogni più minuto dettaglio è per lui un’assicurazione dell’esistenza del valore, ma anche un modo di stabilire un livello di partenza per ogni suo progetto: assicurarsi comunque che quel livello sia il piano da percorrere per costruire. Esemplare, in tal senso, è la torre residenziale realizzata a Milano nel 1961, la Tizianella, dove Asti riesce a garantire la qualità del risultato finale pur salvaguardando i legittimi interessi economici del committente, perché, sostiene, “l’edilizia residenziale ha due strade: quella di chi chiede una casa per sé e per la propria famiglia, e l’altra di chi vuole costruire e vendere e ottenere un risultato economico soddisfacente. Nel primo caso conosci il committente, ne interpreti i desideri, le aspirazioni, sei chiamato a condividerne modi, consuetudini e convinzioni di vita. Tutto ciò non vale nel secondo caso: il committente ha bisogno di vendere al meglio quanto ha costruito e non si domanda chi entrerà negli spazi realizzati, che dovranno essere spazi flessibili, versatili nella distribuzione e curati nella scelta dei materiali e delle finiture. Compito decisamente non facile per un progettista, soprattutto se a ciò aggiungiamo che un edificio urbano deve anche rispettare il contesto in cui si colloca.”  A questo proposito è opportuno riprendere un passaggio di uno scritto che la docente e critica Alba Cappellieri ha scritto su Sergio Asti a proposito dell’abilità e del sentire territoriale che contraddistinguono l’agire progettuale dell’architetto e designer milanese. Un sentire che lo stesso Asti sintetizzava in un agire preciso:" […] Perché disegnare comportamenti attraverso gli oggetti è sempre stata un’idea terribilmente milanese”.

“Il progetto della Tizianella, che prospetta su uno dei più bei parchi di Milano, nasce dalla ricerca e dalla conoscenza dell’esistente. L’architettura della fine dell’800, tipica di quella parte di Milano, era fatta di bow-window, di chiaroscuri, di materiali scelti e trattati sapientemente.”
Alba Cappellieri
“Il progetto della Tizianella, che prospetta su uno dei più bei parchi di Milano”, scrive Alba Cappellieri³, “nasce dalla ricerca e dalla conoscenza dell’esistente. L’architettura della fine dell’800, tipica di quella parte di Milano, era fatta di bow-window, di chiaroscuri, di materiali scelti e trattati sapientemente”. In questa occasione Asti è riuscito con equilibrio e sensibilità a coniugare gli interessi immobiliari con gli interessi del progetto, dell’architettura di qualità senza dimenticare la storia ed evitando, tuttavia, la retorica dello stilismo e la confusione tra architettura e affari, e rappresentando, di fatto, un caso di sapiente mimetismo milanese. A questa costruzione è legata inoltre l’omonima maniglia, tuttora in produzione per Olivari, “il disegno della maniglia Tizianella è del 1959 – ricorda Sergio Asti – Enrico Cassina, nel suo laboratorio, ne aveva realizzata una piccola serie, la produceva su ordinazione, ma quando è arrivata l’occasione di impiegarla in numeri maggiori, quando è stata scelta per questa costruzione, Ernesto Olivari,  che faceva parte di un milieu di imprenditori d’assalto, l’ha prodotta in scala industriale e ha dato il via alla Olivari, che da una dimensione artigianale ha assunto, con la Tizianella, una dimensione industriale”.
Serie Boca, con Inao Miura, ICM, progetto 1973, produzione 1975, foto Amendolagine Barracchia, Triennale Milano
Serie Boca, con Inao Miura, ICM, progetto 1973, produzione 1975, foto Amendolagine Barracchia, Triennale Milano
Sergio Asti è un alfiere del sapere guardare che poi traduce in occasioni, in dialoghi, in lavoro razionale e sapienza professionale. Il docente e grafico Mario Piazza parla del metodo di Asti come di una maestria che nasce dall’accumulo, dal sentirsi soggetti pieni di desiderio. Sulle pagine di “Abitare”, nel 2012, Piazza includeva uno stralcio di uno scritto di Asti, proprio per infilare il suo immaginario in una lista di visioni. “…I fiori del Deserto e la poesia di un certo poeta Tuareg, le aste dei vini a Beaune, The Threepenny Opera con il Berliner Ensemble all’Old Vic, Frank Lloyd Wright a Chicago e Mies a Chicago e N.Y., Jacques Brel al Dix Heures, la prima volta alla Scala con la Gianna Pederzini nella Carmen, Varanasi ed il Gange, rose gelsomini e altro da Fragonard a Grasse e Cesare Peverelli che dipinge, The Contented Sole e The Beef Baron a Londra, Mon Truc en Plumes e le gambe di Zizi e i costumi di Yves Saint Laurent all’Alhambra, le lunghe appassionate intriganti conversazioni nelle sere d’estate con Guido Carli mai contento curioso interessato affascinato sempre pieno di domande sul mondo esoterico-filosofico-religioso-rituale-artistico orientale Tao Buddha Induismo, La Dalecarlia e Stoccolma e Helsinki ed il sole che non tramonta mai d’estate, Le Nouveau Roman Robbe-Grillet Marienbad, il primo satellite russo che si vedeva passare in piazza Cavour alle dieci di sera, cioè, Moisseiev e i balli dell’Armata Rossa al Lirico assieme ad Anna Castelli e la già dolce e gentile Maria, tutto Oscar Wilde, J’ai Deux Amours, il Procope a Parigi ed il Voltaire a Zurigo, Casablanca con Ingrid e Humphrey, Om, Marrakesh ("Marraksc", come dicono da quelle parti) e il Mamunia e Rabat e Fez dove tingono lana e pelli (...) Londra negli anni ’60, giacche edoardiane e Mary Quant, la plume de ma tante, il the rosso di Rangoon offertomi in un giorno di pioggia da una vecchina gentile ed ancora bella che cuciva per me degli elegantissimi sarong, La Scuola d’Atene, Il Flauto Magico, Tanizaki Dazai Kawabata Mishima ed il suo seppuku, le buganvillee sulle rive del Chao Phraya, Zurbaràn a Siviglia, il Sarchiapone, Charlie Parker e Miles Davis in concert (...) i Sex Show a N.Y. e a Copenaghen, le sorelle Kessler diciassettenni al Lido, l’Iki (la seduzione per la seduzione), Flatlandia, La Cumparsita, Adios Muchachos, La Violetera, i templi Khmer nel nord della Thailandia e i Meo, ...” E avanti così per altri cinque fogli⁴. Questa micro antologia di sguardi su Sergio Asti si conclude con quella che più incuriosisce e stimola l’autore, che più rilancia l’attualità di un mondo. La dà Ettore Sottsass nel testo che introduce il catalogo della monografica tenutasi a Kyoto nel 1983, quando l’architetto milanese celebrò un rapporto con la cultura del Sol Levante costruito anche grazie alla collaborazione della designer Inao Miura, assistente di lungo corso Asti. “È certo che nel paesaggio del design italiano, così come più o meno siamo abituati a vederlo, la posizione di Asti è molto speciale. Non c’è dubbio che lui insegue continuamente qualcosa che va al di là degli schemi razionalizzabili, non c’è dubbio che non si accontenta di sapere come fare una cosa, non si accontenta di aver capito i meccanismi progettuali o produttivi, o, come si dice spesso nel linguaggio professionale, commerciali. Gli oggetti di Sergio Asti sono come piccole chiavi, per aprire la porta a numerosi percorsi, sono un po’ come i biglietti di viaggio o piuttosto come taniche di carburante⁵.”
Crediti
1. Alessandro Mendini, Scritti, 1986, ateliermendini.it 2. Vittorio Gregotti, Per Sergio Asti, in Sergio Asti, catalogo della mostra monografica a The Corporation of International Craft Center, Kyoto 1983, p.6 3. Alba Cappellieri, Quando i designer erano architetti, Op. Cit., numero 130, Settembre 2007, Electa Napoli 4. Mario Piazza, Sergio Asti, progetti, cascate, fiumi e torrenti, "Abitare", n.519, Febbraio 2012, RCS, Milano 5. Ettore Sottsass, Un saluto a Sergio Asti, in Sergio Asti, catalogo della mostra monografica a The Corporation of International Craft Center, Kyoto 1983