JM: La parte britannica del libro è opera mia. Ad esempio, il caso della coppia lesbica Sylvia Townsend Warner e Valentine Ackland nell’Inghilterra prebellica. Ho voluto inserirla perché rappresenta quella che è stata l’altra via verso il modernismo: molto diversa da ciò che sostenevano gli storici come Colin St John “Sandy” Wilson, il quale in linea con la “tradizione dell’architettura moderna” si riferiva agli scandinavi come Alvar Aalto, Eero Saarinen, etc. In realtà un filone diverso esiste, un filone più queer, e per individuarlo il lavoro di Elizabeth Darling è stato particolarmente importante per me, così come quello di Jane Stevenson, che ha voluto inserire nel libro un suo scritto. Un altro caso che mi sta a cuore a livello personale è il Black Lesbian & Gay Centre, aperto nel Sud di Londra negli anni Ottanta.