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Triennale Milano
Plia, Museo del Design Italiano, 2021 © Triennale Milano

La Plia, la lampada Dollaro $ e i Moon Boots. Come sono nati questi oggetti? Ce lo raccontano i loro designer

12 novembre 2021
Giancarlo Piretti racconta come è stato sviluppato il progetto per la sedia Plia
"Circa cinquant’anni fa ho disegnato la sedia pieghevole che è stata chiamata Plia. È un progetto che ho fatto da solo, senza avere nessun committente. Anzi, ho faticato un po’, una volta avuto il prototipo, a convincere l'azienda per la quale lavoravo a metterla in produzione. Si tratta di una sedia leggera, studiata non come sedia fissa attorno a un tavolo, ma da tirare fuori da una stanza per usarla quando arrivavano degli invitati. Impiegai dei tubi molto sottili perché, al primo impatto, doveva risultare anche visivamente leggera e non incombente. Non solo, avevo capito che dovevo fare sedile e schienale trasparenti per darle un aspetto ancora più leggero. Inoltre non doveva avere problemi se accostata a un mobile già esistente in casa, pertanto cercai una plastica trasparente.
Il problema era che una plastica di tale tipo non esisteva. Fui fortunato perché alla Bayer in Germania, dove ero andato in visita, in quel momento avevano allo studio un materiale trasparente che poteva adattarsi a una sedia. Lo avevano studiato per degli occhiali da sole, ma lo perfezionarono poi, rinforzandolo. Pertanto fui felice di avere per la prima volta un materiale trasparente e lo usai per questa sedia!
Plia fu presentata a Milano al Salone del Mobile. A livello di prototipo ebbe un grande successo perché era decisamente “nuova”. La sedia fu molto fortunata perché i primi clienti furono i designer della moda: Mila Schön, per esempio, arrivò davanti a queste sedie e, quando disse il numero che avrebbe acquistato subito con un ordine, parlò di 2/3000 esemplari! Allora non si pensava a quantitativi del genere! In seguito fu notata sulle riviste di moda e per l’azienda Castelli, che la produceva, fu un fatto molto importante perché le riviste generarono pubblicità “gratuita”: le signore andavano con una copia nel negozio Castelli a chiedere quella sedia. Ebbe un grande successo in tutta Europa. Quando però Castelli mi chiese di portarla in America, dove cercavano un distributore, lì ebbi una brutta sorpresa riguardo al marketing, che non accettò il fatto che fosse trasparente. Il problema era che i loro clienti non erano abituati a vedere sedie di quel tipo, che non esistevano proprio... e così me la bocciarono! Da quel giorno penso che il marketing sia nemico dei designer, o per lo meno per me. Solo anni dopo cominciò a diffondersi e ad avere grande successo anche negli Stati Uniti, molto più di quello che si poteva pensare.
Un aneddoto al quale sono molto legato è di una trentina di anni fa. La Plia non era molto comoda per chi la usava, era fatta per stare seduti al massimo un’ora o due: avevo privilegiato l’aspetto estetico! A Londra una ditta che la esponeva volle fare un test divertente: presero altre nove sedie, oltre alla mia, e invitarono dieci persone a provarle, da bendate, per dare un giudizio sulla comodità di ciascuna. Dal punto di vista del comfort la Plia risultò al quarto o quinto posto. Quando sbandierano le persone, le invitarono invece a esprimere la loro preferenza dal punto di vista estetico e la Plia risultò il numero uno!
Questo mi piacque molto: tutti gli oggetti di solito sono scelti per il loro impatto estetico. Prima si guarda l’estetica, poi si valuta se è comodo o no. La gente alla fine sceglie con gli occhi e non con... il sedere. Per me è tuttora molto importante tenere in considerazione questo aspetto: ho fatto mio questo principio quando disegno una sedia."
Sedia Plia, Giancarlo Piretti, Anonima Castelli, 1967
Sedia Plia © Triennale Milano
Lampada Dollaro $, UFO, 1968
Lampada Dollaro $, UFO, 1968
Lapo Binazzi, parte del gruppo UFO, racconta da cosa hanno tratto ispirazione per la lampada Dollaro $
"Il progetto della lampada Dollaro $ degli UFO è nato per il ristorante “Sherwood”, aperto dal 1969 fino al 1973. Si tratta della lampada che stava su una metà di una tavola rotonda dei cavalieri di re Artù, in una specie di cortile di un castello con pareti di pietra e sospesa su una tovaglia di plastica di finto tartan scozzese del clan dei Mackintosh. Gli originali erano sette.
Nella prima versione della lampada Dollaro $ è presente una Volkswagen — un Maggiolino Herbie degli anni Cinquanta — che ha evidentemente cozzato contro una palma nel deserto.
L’ispirazione nasce da fumetti di Walt Disney, in particolare dalla lampada sulla scrivania di Zio Paperone e che ha il simbolo del dollaro: come la ricchezza che ci avrebbe sicuramente arriso con questo lavoro. I materiali sono metallo e legno dorato e la base è di pietra serena.
La lampada è anche espressione di una discontinuità e di una narrazione. Il suo cappello è, già nel fumetto, quello di una lampada ministeriale anni Trenta, evoca una collocazione e un’estetica che diventano un’estetica discontinua, nel senso che tra la narrazione sopra il cappello, il corpo e il cappello stesso della lampada c’è un’evidente discontinuità. Il meccanismo è quello delle associazioni libere di idee, cioè di connotazione e denotazione. È una lampada “a contenuto semiotico”. È stata un esempio, forse il primo, di autoproduzione che voleva dialogare con il mondo del design industriale, ma contrapponendosi in qualche modo con una frattura nella cura artigianale, con dei mezzi espressivi legati al nostro rapporto con Umberto Eco che, a quei tempi, era nostro mentore all’università per l’insegnamento della semiotica."
Moon Boot, Zanatta, Tecnica, 1970
Moon Boot, Zanatta, Tecnica, 1970
Giancarlo Zanatta e la nascita dei Moon Boots
"Le mie scuole sono state quelle professionali, in particolare ho frequentato i corsi di modelleria all’Arsutoria di Milano. Sono figlio d’arte: mio padre nel 1930 aveva aperto un calzaturificio che io poi ho sviluppato fondando nel 1960 a Montebelluna l’azienda Tecnica Spa.
La storia del Moon Boot è nata così: nel settembre del 1969 ero in viaggio d’affari negli Stati Uniti. Mi trovavo alla Grand Central Station di New York quando vidi una diapositiva molto grande proiettata sulla parete della stazione con Armstrong e l’allunaggio già avvenuto. Vidi una grande impronta sulla luna, vidi degli stivali molto grossi, ampi, fatti di materiale sintetico, cosa che per le scarpe allora non era pensato. Rimasi innamorato di quell’impronta e di quella visione e mi dissi: “Perché non farne un doposci?”. Allora facevamo dei doposci di pelle, di pelo ma sicuramente non di materiale sintetico.
Ci pensai. Passò qualche settimana, poi qualche mese e un giorno disegnai questa calzatura e la feci sviluppare all’interno dei nostri uffici tecnici, seguendone giorno dopo giorno l’evoluzione.
Nasce così nel 1970 questa scarpa, presentata a Milano a una fiera di settore: ebbe immediatamente un notevole successo. Era innovativa, e lo è ancora, perché è ambidestra e va di tre numeri in tre numeri, poiché all'interno c’è un vellutino di 20 millimetri di spessore e, quindi, il piede si adatta molto spingendo sulla scarpa.
Abbiamo disegnato una suola antisdrucciolo e utilizzato materiali particolarmente termici: la scarpa è molto calda e la si usa in tutte le situazioni. Il nome è stato una scelta logica: abbiamo sposato le due parole “moon” (luna) e “boot” (scarpa) ed è nato il Moon Boot. Il disegno del logo è stato fatto da uno studio grafico e da un ragazzo molto bravo dell’ufficio Public relations del marketing."

Moon Boot, Zanatta, Tecnica, 1970
Vieni a scoprire la Plia, Dollaro $ e i Moon Boots nel Museo del Design Italiano!