Negli anni in cui fui direttore del Musée Galliera, Musée de la Mode de la Ville de Paris, un giornalista mi chiese: “Se un extraterrestre venisse a Parigi, cosa vorrebbe mostrargli, per far capire che cosa sia la moda?”. In quel momento mi resi conto che nel museo avevo dei bei vestiti di Schiaparelli e Balenciaga, ma non jeans, camicie, t-shirt; non indumenti vicini alla moda della gente vera, delle strade. Anche per questo motivo ho dato vita al progetto Moda Povera, per reintrodurre qualcosa di quotidiano nel processo della performance artistica. Quando poi ho preso in mano il guardaroba di mia madre, ho capito subito che dovevo fare qualcosa che non fosse dedicato alla moda, ma agli abiti. Trovo che oggi ci sia un grande bisogno di parlare dell’”arte dell’abbigliamento”, più che di moda. Trovare quindi nuove alternative per la nostra passione, che è l’abito: inventare nuovi vestiti, nuove forme, senza necessariamente produrre, vendere, comprare. Trovare un nuovo sistema, che può essere anche un sistema poetico. E sicuramente più sostenibile.