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Triennale Milano
saillard
Foto di Beatrice Mazza, NABA student

Che cos’è la Moda Povera? Intervista a Olivier Saillard

26 febbraio 2024
A cura di NABA, Nuova Accademia di Belle Arti
Ferme, immobili, come statue viventi su piedistalli bianchi, le modelle attendono nei loro lunghi abiti neri che Olivier Saillard si avvicini a loro con un abito. Moda Povera VI: les vêtements des autres - Milan è la prima delle tre performance curate da Olivier Saillard in Triennale Milano. Allestite negli spazi della mostra personale dello scultore australiano Ron Mueck, e commissionate nell’ambito delle Soirées Nomades, il programma live di Fondation Cartier pour l'art contemporain, le azioni di Saillard si propongono come momenti di ricerca e riflessione sul rapporto intimo e segreto tra gli indumenti e i ricordi di cui sono intessuti.
Saillard si muove nella sala con passo sicuro, e con estrema delicatezza. Il suo ruolo in questa storia è quello del traghettatore, di chi accompagna il ricordo di una memoria privata, “prestata”, dal proprietario dell’abito a chi lo interpreta. Nella sua performance, che porta con sé l’emozione della vita quotidiana e la storia delle persone, un semplice capo d’abbigliamento si trasforma in qualcosa di nuovo.
In Triennale Milano ha realizzato anche a Moda Povera V: les vêtements de Renée, dedicata alla madre Renée dopo la sua morte. Il ricordo della madre prende vita dai capi che le appartenevano, in un atto performativo e celebrativo, portando con sé l’anima di colei che li ha indossati.
In chiusura, come ultimo momento performativo della triade, Salon de Couture ha visto come protagonista la modella Violeta Sanchez, musa di Yves Saint Laurent e Helmut Newton. In questo caso l’azione rispetta la struttura classica della Haute Couture – i posti a sedere per gli spettatori, una passerella – sovvertendo però il fulcro di ogni sfilata con grazia e maestria. Gli abiti sono solo suggestioni, evocati dalla voce di Sanchez con descrizioni minuziose di tessuti, forme e sensazioni.
Per Moda Povera V: les vêtements de Renée lei ha preso in mano gli abiti di sua madre. Com’è stato lavorare con dei ricordi così privati, così vicini alla sua vita?
Negli anni in cui fui direttore del Musée Galliera, Musée de la Mode de la Ville de Paris, un giornalista mi chiese: “Se un extraterrestre venisse a Parigi, cosa vorrebbe mostrargli, per far capire che cosa sia la moda?”. In quel momento mi resi conto che nel museo avevo dei bei vestiti di Schiaparelli e Balenciaga, ma non jeans, camicie, t-shirt; non indumenti vicini alla moda della gente vera, delle strade. Anche per questo motivo ho dato vita al progetto Moda Povera, per reintrodurre qualcosa di quotidiano nel processo della performance artistica. Quando poi ho preso in mano il guardaroba di mia madre, ho capito subito che dovevo fare qualcosa che non fosse dedicato alla moda, ma agli abiti. Trovo che oggi ci sia un grande bisogno di parlare dell’”arte dell’abbigliamento”, più che di moda. Trovare quindi nuove alternative per la nostra passione, che è l’abito: inventare nuovi vestiti, nuove forme, senza necessariamente produrre, vendere, comprare. Trovare un nuovo sistema, che può essere anche un sistema poetico. E sicuramente più sostenibile.

Se un extraterrestre venisse a Parigi, cosa vorrebbe mostrargli, per far capire che cosa sia la moda?
È importante onorare i vestiti che fanno parte di noi, della nostra storia?
Penso che ciascuno di noi abbia, nel suo armadio, alcuni abiti preferiti, amati, anche se vecchi e magari logori. Così come, del resto, molti di noi hanno probabilmente un capo firmato, che sia di Louis Vuitton, Dior o qualsiasi altra marca, comprato d’impulso ma mai indossato. Ricordo un giorno in cui una cara amica mi ha donato delle camicie appartenute al suo fidanzato scomparso. Ho amato quelle camicie più di altre, perché quando le indossavo sentivo che c’era qualcosa di molto intimo tra me e loro. Ecco perché sono sicuro che tutti preferiscano avere una relazione con i loro vestiti. Piuttosto che comprarne di nuovi, ogni giorno. 
Le modelle di Moda Povera ci hanno confessato che percepiscono l’energia degli abiti che ricevono e indossano; anche lei la sente, quest’energia, quando appoggia gli abiti sul piedistallo?
Sì: quando metto i vestiti sul piedistallo è come offrire loro l’onore di fare qualcosa che è dedicato a tutti, qualcosa che abbia in sé un senso di rispetto per la moda. Perché purtroppo ormai le sfilate, questo grande show, mi ricordano a volte centinaia di animali concentrati nello stesso spazio. Moda Povera invece offre la possibilità alle modelle/interpreti di giocare con le giacche, o i pantaloni. Un gioco che ha in sé anche la serietà e la magia di un rito.
La sua performance ha qualcosa che ricorda la pratica di meditazione trascendentale: il campo unificato, un luogo inconscio dove tutte le forme di vita vengono percepite come una. E un'interconnessione che ci lega, anche con chi non conosciamo, visto che i vestiti affidati alle modelle sono di estranei?
Sì, penso di sì. C'è sicuramente qualcosa di meditativo. Qualcosa che potrebbe ricordare il teatro Nō giapponese, ad esempio. E, infatti,prima di iniziare la performance suggerisco alle modelle di indossare i vestiti molto lentamente, per invitarle a pensare che stanno entrando nella vita di qualcun altro. La nostra performance non è un mostrare qualcosa per venderlo o comprarlo, ma è l’invito ad apprezzare e a capire i vestiti attraverso i ricordi che portano con sé. Ed è per questo, forse, che Moda Poveraviene percepita come un atto collettivo. Del resto, non è sempre un momento di piacere, ogni giorno della nostra vita, scegliere che cosa indossare, decidere cosa comunicare di noi? Non dimentichiamolo.
Che cosa vuole comunicare al pubblico con questa mostra?
Interessante che lei abbia detto “questa mostra”, e non performance. Un lapsus, forse, ma lo apprezzo: perché, secondo me, questa in effetti è anche una mostra. Ci sono i piedistalli, donne in pose statuarie… Quindi è anche una mostra, ma una mostra che non avrei potuto fare in un museo. Ed è anche la possibilità di poter gioire della moda non solo comprando vestiti. Forse è un nuovo territorio da esplorare, non consumistico: potrei chiamarlo "l’arte dell'abbigliamento”, non l'arte della moda.
Fare arte con i vestiti, dunque.
Penso che il mondo della moda si stia allontanando dalle persone. Certo, le sfilate oggi sono guardate da milioni di persone in tutto il globo, in diretta dal cellulare: non solo per gli abiti, ma anche per le celebrities in prima fila. Io però non credo di sentirmi a mio agio in questo mondo. Sono, invece, molto felice quando così tante persone vengono ad assistere a una performance artistica, per il semplice piacere di condividere un momento di bellezza.
Crediti
Intervista a cura di Intissar Bouhi (NABA Fashion Design Academic Assistant), Emilia Seminara, Giacinto Tecce (studenti dell’Area Fashion Design di NABA, Nuova Accademia di Belle Arti) Tutte le fotografie: Beatrice Mazza, NABA student