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Triennale Milano

Il Seicento lombardo

16 marzo 2020
“Molti fenomeni delle pestilenze del 1576 e del 1630 hanno paurosamente e impressionantemente a che fare con ciò che dobbiamo affrontare a fare i conti ormai tutti i giorni, nonostante i quattrocento anni che ci separano da queste tragedie.” Giovanni Agosti, storico e critico d’arte, ha partecipato al progetto Triennale Decameron con una riflessione sulle pestilenze che hanno colpito la città di Milano e sul ruolo ricoperto dall’arte nella cornice di queste epidemie.
“In questi giorni è capitato quasi quotidianamente, leggendo i giornali o parlando con gli amici, di sentire richiamato il Manzoni e i suoi Promessi Sposi per trovare una comprensione di ciò che ci sta capitando. È più che legittimo. Raramente è stato espresso con così tanta chiarezza, qualità, profondità e umanità quello che di sconvolgente la pestilenza provoca nel corpo degli esseri umani e nella società aggredita da questo tipo di morbi.”
Alessandro Manzoni, I Promessi Sposi. Storia milanese del secolo XVII scoperta e rifatta da Alessandro Manzoni, ed. 1840
“Nel 1973, in occasione del centenario della nascita di Manzoni, la città di Milano aveva realizzato una magnifica mostra a Palazzo Reale che si chiamava Il Seicento lombardo. La mostra nasceva da una riflessione su Manzoni e, nel contempo, costituiva una sorta di omaggio a chi più si era speso nel XX secolo a spiegare la parte che i Lombardi avevano avuto nella storia dell’arte italiana, cioè Roberto Longhi, il maggiore storico dell’arte del XX secolo. L’esposizione aveva al suo centro l’orrore e lo spavento delle pesti e cercava di darne una spiegazione utilizzando gli strumenti dell’arte attraverso l’arte figurativa, cercando di vedere come quest’ultima avesse reagito alle sciagure della salute umana e come poi, a distanza di secoli, questo cataclisma avesse preso forma, in maniera sia poetica che antropologica, dentro il maggiore romanzo italiano.”

Il Seicento lombardo. Catalogo della mostra Milano Palazzo Reale, Electa, 1973. In copertina Tanzio da Varallo
Il Seicento lombardo. Catalogo della mostra Milano Palazzo Reale, Electa, 1973. In copertina Francesco Cairo
Il Seicento lombardo. Catalogo della mostra Milano Palazzo Reale, Electa, 1973. In copertina Tanzio da Varallo
“I tre volumi che compongono il catalogo della mostra, riuniti in un cofanetto con eccellente grafica, includono alcuni capolavori dal punto di vista storiografico, come il saggio di Testori Sennacherib e l’angelo, che è uno dei suoi capolavori, in cui dell’intero corpus del Seicento lombardo, ridotto soltanto ai primi trent’anni, Testori seleziona ulteriormente un solo quadro, che è il mastodontico telero che sta nella Cappella Nazzari in San Gaudenzio a Novara ed è un caposaldo di Tanzio da Varallo."
“Alcuni tra gli artisti più antichi coinvolti in questa esposizione – il Cerano, il più grande tra loro, il Morazzone, Tanzio da Varallo, Procaccini, e poi giù giù, Cairo, e ormai in dissolvenza, superata la peste, Nuvolone – si trovarono a vivere tra due pesti. Nel periodo tra il 1576-1577 e il 1630 ci sono due pesti: c’è la peste, diciamo così, di Carlo Borromeo e quella di suo cugino Federico. Sono due pesti enormemente violente, con sintomatologie differenti, che incidono e segnano il corpo della nostra regione. Lo segnano non tanto e non solo per il numero molto elevato di morti ma perché entrano, in un certo senso, nel DNA della cultura lombarda.”
Giovanni Battista Crespi (Cerano), Adorazione dei pastori, Torino, Galleria Sabauda, 1590/1600
"Chi fosse interessato a questi argomenti può guardare su internet i filmati della serie “Io e…” di Anna Zanoli, realizzata al principio degli anni ’70. Una tra le esperienze eccellenti della televisione italiana quando dei grandi personaggi della nostra cultura vennero coinvolti a parlare di un’opera d’arte per loro particolarmente significativa. In quell’occasione, dell’intero corpus della storia dell’arte, Giovanni Testori selezionò il quadro “pestante” di Tanzio da Varallo. Basti ricordare che Maria Bellonci parlò della Camera degli Sposi, Renato Guttuso parlò del Marat di David, Giorgio Bassani parlò del Seppellimento di santa Lucia del Caravaggio. Federico Fellini non scelse una singola opera ma il quartiere Eur di Roma. Ma soprattutto c’è il filmato di Pier Paolo Pasolini dove “Io e…” diventava la città di Orte: una riflessione che parte dall’architettura per espandersi alla forma della città e alla civiltà che ha ben pochi confronti per lucidità, per profondità e per drammaticità.”
"Io e..." di Anna Zanoli, Giovanni Testori e Tanzio da Varallo, RAI 1973
"Io e..." di Anna Zanoli, Il quartiere EUR commentato da Fellini, RAI 1972
"Io e..." di Anna Zanoli, Pier Paolo Pasolini "La forma della città", RAI 1973
“Mi viene da riflettere su questo tema delle due pesti perché in un certo senso quelli che hanno la mia età, cioè che adesso vanno per i sessant’anni, in definitiva stanno vivendo la loro seconda peste. Io faccio parte di una generazione che, per scelte di vita e per condizione, in qualche modo ha pesantemente attraversato al principio degli anni ‘90 la tragedia del Aids. E non posso non confrontare le sensazioni che provo oggi con quelle che si provavano allora. È un esercizio che faccio quasi quotidianamente.”
“Un’immagine sulla quale mi piacerebbe si riflettesse è questa rarissima acquaforte che rappresenta la città di Milano all’uscita dalla peste del 1576. È una stampa di un artista trentino che si chiama Nunzio Galizia. Ci permette di vedere come si presenta la città di Milano nel momento in cui la peste è finita. Nunzio Galizia ci mostra ancora le strutture che erano state costruite per la peste perché, allora come ora, si era scatenato il problema che le strutture ospedaliere esistenti non bastavano.”
Nunzio Galizia, Veduta prospettica di Milano, 1576
Crediti
Testi di Giovanni Agosti