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Triennale Milano
Giovanna e Achille Castiglioni, Courtesy Fondazione Achille Castiglioni

Giovanna Castiglioni racconta come la Fondazione Castiglioni sia un luogo anche pensato per i bambini

16 luglio 2021
In occasione dei campus estivi Summer Escapes ci siamo concentrati sul fatto che un oggetto non parla, ma sa fare compagnia. Abita il mondo e sembra esservi a suo agio. Ci siamo chiesti che forma avrebbe il suo racconto, se narrasse ciò che lo circonda. Capita, infatti, che un oggetto, pur non avendo voce, possa parlare di me e di noi; è possibile che, senza dover essere uno specchio, sappia riprodurre il nostro riflesso e raccontare la nostra storia. Magari non tutta, ma una fetta decisamente importante di essa.
 
Ad accompagnarci in questo percorso è venuta Giovanna Castiglioni, "custode" della Fondazione Achille Castiglioni. Chi meglio di lei avrebbe potuto accompagnarci  in un presente che in realtà è ponte tra passato e futuro? Insieme a lei, i bambini sono stati accompagnati in uno spazio magico, pieno di libri, di progetti, di disegni, di oggetti... ognuno con una storia da raccontare. E visto che ogni oggetto è uno scrigno di storie e racconti, perché non provarne a immaginarne di nuovi grazie agli sguardi e ai progetti dei bambini stessi, accompagnati dalle parole e dalla visione proprio di Giovanna?
Giovanna Castiglioni, Courtesy Fondazione Achille Castiglioni
Courtesy Fondazione Achille Castiglioni
Courtesy Fondazione Achille Castiglioni
Quando si entra in Fondazione sembra di entrare in una bottega di giocattoli: molle, palle che si aprono e si chiudono simulando soffioni, sgabelli dalle forme allungate, panchine che permettono felici cambi di prospettiva... Insomma sembra che ogni oggetto pensato da Achille abbia avuto inizio da un gioco. È stato davvero così?
In parte si è in parte no. Da un lato sì, perché Achille era una persona estremamente giocosa e, dal gioco, attingeva molto per fare della leggerezza un punto cardine del suo modo di progettare. Dall’altro, c'è tutta la questione legata al progetto con attenzione alla  funzione con un obiettivo specifico e la risoluzione di un problema. Il fatto di voler sempre risolvere un problema, infatti, ti porta a essere molto pratico. Il gioco, poi, vien da sé. Prendere in modo leggero le cose non vuol dire, però, non farle in modo rigoroso possibile, ma significa creare un buon equilibrio tra gioco, nel senso di leggerezza, e progetto, il cui obiettivo rimane la risoluzione di un problema. Al concetto di gioco si può poi rimanere legati in molti modi: può diventare fonte ispiratrice per scegliere un nome interessante e ironico, ma si può partire anche dal meccanismo di un gioco per la progettazione di un nuovo oggetto. Achille era veramente come un bambino: è riuscito ad alimentare questo legame con l’infanzia, senza farsi troppo condizionare dal mondo esterno. Questo tratto giocoso è stata una specie di liberazione per Castiglioni.
Quando conduci i tuoi visitatori, piccoli o grandi che siano, sembra che tu ti diverta molto. Se ci soffermiamo sull'etimologia della parola, derivante dal verbo latino divertere, questa ci porta all'idea di un allontanamento da quella che per la maggioranza è la via maestra. In questo senso, quanto Achille il divertimento ha inciso nella sua vita da progettista?
Achille riusciva a progettare mantenendo a distanza quelle problematiche che avrebbero affaticato il progetto. Progettava con lo scopo di risolvere un problema. Tante volte mi è stato chiesto se Achille fosse un funzionalista o, se per ogni progetto, ne studiasse l’ergonomia. No, lui era un uomo molto pratico e la progettazione nasceva da una praticità d'uso e si divertiva, nel senso che si allontanava, dal classico iter progettuale proprio perché, alla fine, si progettava per un utilizzo specifico senza decorazioni. Nel progetto di Castiglioni non c'erano orpelli, non c'erano aggiunte,  non c'è mai una sovra carico di elementi costruttivi.

"[...Quando un bambino dice, ndr] “Da una molla ha fatto un posacenere? Geniale, no?!”, vedi tutta la purezza dell’affermazione, intravedi, in filigrana, quel da cosa nasce cosa, di munariana memoria, per cui è possibile trasformare una palla che si apre a stella in una lampada."
Giovanna Castiglioni
Courtesy Fondazione Achille Castiglioni
Courtesy Fondazione Achille Castiglioni
Si può dire che ogni oggetto è un condensato di tempo, sia del tempo che lo ha preceduto (esperienza e sapere pregresso) sia del tempo futuro, in quanto porta con sé una visione che è anche speranza. Secondo te, in quale modo si dovrebbero equilibrano tra di loro? C'è un oggetto progettato da Achille in cui questo rapporto, tra passato e futuro, è ottimamente bilanciato?
Sicuramente sì. Faccio solo una piccola premessa sul fatto che quando ho cominciato a lavorare in Fondazione, non conoscendo il mondo del design e dovendolo studiare ex-novo, mi sono sempre sentita come su di un ponte tra passato e futuro. È come se mi fossi trovata a metà strada: da una parte, questo passato sempre estremamente interessante perché ogni progetto altro non era che un racconto. Era come trovarsi di fronte ad un libro avvincente da leggere tutto d’un fiato. Dall'altro, la possibilità di proiettare il lavoro di Castiglioni in un futuro prossimo, in cui i progettisti di oggi affrontano il mondo del design. Il fatto di essere tra passato e futuro è interessante perché sei lì nel mezzo e provi a guardare il mondo con gli occhi rivolti al futuro, ma avendo delle basi solide, grazie a quel passato importante lasciato da Achille e dagli altri maestri del design.  
Uno dei progetti che ci ha dato grande soddisfazione è stato l’aver messo in produzione l'ultimo progetto del papà che, secondo me, rappresenta bene questo connubio tra passato, presente e futuro. 
Nel 2001 progetta un set di penne e matite, senza però riuscire a metterlo in produzione. Aveva progettato uno strumento, appartenente al passato, il Lapis, la matita per eccellenza, usata da secoli da progettisti e creativi. Il modello in legno trilobato era stato realizzato  da Pierluigi Ghianda , il quale fa notare a Castiglioni quanto, quel tipo di lavorazione, fosse molto complessa. Castiglioni decide di non procedere nella ricerca di un’azienda che la producesse. Ancora una volta, Achille ritiene che il progetto non fosse ancora maturo per i tempi. Nella sua visione, un progetto può restare tale fino al momento in cui non ci siano le condizioni per portarlo alla produzione. 
A distanza di vent’anni, grazie alla collaborazione di Gianfranco Cavaglià, che ha lavorato a lungo con Achille Castiglioni e coprogettista di questo set di scrittura (autore del libro “di” Achille Castiglioni pubblicato da Maurizio Corraini Edizioni), io e mio fratello Carlo, abbiamo ripreso in mano il progetto e trovato una start up di Bologna, Ego.M, che, grazie alle stampanti 3D, hanno realizzato la matita di papà. Ancora più di futuro sa il materiale che abbiamo scelto insieme a loro, ossia il grafene. Invece di fare una penna in plastica, a partire da degli stampi, abbiamo osato e abbiamo fatto una matita a partire dalla sua stessa anima, ossia dalla grafite. Questo ci ha permesso di realizzare un oggetto che non scende a compromessi. Non sarà mai rosa, verde o giallo. 
È una matita fatta di matita, si va all'essenza. 
Non so quanto sarebbe piaciuto questo prodotto ad Achille ma, sicuramente, fa parte del passato, presente e futuro, perché è l'ultimo segno che lui ha lasciato, è proprio simbolico. Lo lascia però con delicatezza: anche noi non ci siamo sentiti presi dalla smania di metterlo in produzione. Abbiamo ponderato la scelta del materiale e valutato la modalità di produzione, senza però apportare modifiche al progetto: se si confrontano i prototipi in  legno di Ghianda e le matite realizzate da Ego.M, non si noterà alcuna differenza. Adesso arriveranno gli accessori colorati, quindi diventeranno veramente strumenti di scrittura
Abbiamo deciso di non fare l'edizione speciale della stilografica a mille euro perché firmata Castiglioni, ma di perseguire la strada del design democratico, che deve entrare nelle case di molti, sono anche oggetti per tutti. Quando mettiamo in produzione un oggetto di Castiglioni, ci sentiamo responsabili e cerchiamo di dialogare con l’azienda affinchè il prodotto abbia un prezzo commisurato (non sempre ci riusciamo: alcuni hanno oramai una vita propria e sul prezzo non possiamo fare più nulla).
Courtesy Fondazione Achille Castiglioni
Courtesy Fondazione Achille Castiglioni
Lavori spesso con gli adulti, meno con i bambini. Durante la settimana in cui ci hai, prima, portati a visitare la Fondazione, e poi sei venuta a progettare con i bambini, quali sono le differenze principali che hai notato?
Quello che a me piace fare in visita guidata è provare a far tornare bambini, se possibile, gli adulti. È più faticoso, ovviamente, lavorare con gli adulti perché l'adulto è sempre troppo legato a preconcetti e pregiudizi. Quando arrivano in Fondazione per me la sfida consiste nel farli liberare dalle complessità della vita e fagli vedere che la progettazione di Castiglioni è facile. Un bambino, invece, è disarmante perché tutte quelle cose già le capisce, in quanto in lui non ci sono sovrascritture. Un bambino che arriva in Fondazione dà delle risposte e vede gli oggetti senza preconcetti e pregiudizi. È bello pulito, è puro, è una spugna che assorbe informazioni e le rilancia con una facilità incredibile. È anche diseducato, nel senso che non sa chi è Castiglioni. Nelle visite guidate che faccio con gli adulti, non dico quasi mai che sono la figlia perché, altrimenti, si mettono già in posizione di difesa. Ma il gioco forte è che un bambino vede la leggerezza con cui Achille ha progettato, vede quel divertimento sotteso a tutti i progetti, dal cucchiaio per la maionese alla lampada. Per me lavorare con i bambini è, da un lato, più faticoso perché hai la responsabilità di raccontare il design in modo semplice, anche se con Achille si riesce perché non devi fare troppa dietrologia e filosofia degli oggetti. Dall'altro, però, il bambino ti dà delle risposte che sono disarmanti, ha sempre ragione lui. Se il bambino ti dice: “Da una molla ha fatto un posacenere? Geniale, no?!”, vedi tutta la purezza dell’affermazione, intravedi, in filigrana, quel da cosa nasce cosa, di munariana memoria, per cui è possibile trasformare una palla che si apre a stella in una lampada. Perché no? Ecco, se riusciamo ad aiutare i bambini a vivere la progettazione così, cresciamo una generazione di bimbi curiosi e aperti. 
Un po’ come è successo a noi figli di Achille quando vedevamo Bruno Munari giocare con i legnetti e ci chiedevamo cosa stesse facendo e, intanto, ci catturava grazie a quel suo modo di amare le cose che lo circondavano. È un insegnamento straordinario, oggi ancora di più in quanto siamo davanti a cose sovracostruite, spesso di pesantezza infinita. 
Quindi viva i bimbi!

Hoberman sphere, Courtesy Fondazione Achille Castiglioni
Taraxacum, Courtesy Fondazione Achille Castiglioni
Spirale Slinky, Courtesy Fondazione Achille Castiglioni
Spirale, Achille Castiglioni per Alessi, 1970 © Triennale Milano
Crediti
I campus estivi Summer Escapes di Triennale Milano sono resi possibili anche grazie al supporto di Scalo Milano.