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Triennale Milano

Fiere e Musei

29 aprile 2020
Torna a settembre (Come September) è una commedia del 1961 ambientata nella Riviera Ligure dove Rock Hudson interpreta il ruolo di un milionario americano che è solito trascorrere il mese di settembre nella sua villa con la fidanzata Gina Lollobrigida. Quest’anno il “Come September” varrà anche per la auspicabile ripresa della filiera dell’arte e, limitando le considerazioni al sistema fiere, con l’appuntamento di Art Basel.
Se infatti musei e istituzioni riscoprono la ricchezza dello studio della prossemica, studiando lo spazio o le distanze come fatto comunicativo e psicologico su progetti a lungo termine, le fiere, come eventi che concentrano il capitale relazionale entro un circoscritto spazio-tempo, posticipano le loro date rabdomanti di un altro week end più sicuro che inesorabilmente è già arrivato “a settembre”.
Fiera e Covid-19
Nella relazione tra fiera e virus si è ovviamente tentati di rimanere prudenti: se stiamo con le dita incrociate, andrà tutto bene? E che cosa sarebbe esattamente il “bene”? Eppure è viscerale più che razionale la voglia di ragionare sul futuro, perché in fondo è nella natura umana e nell’arte stessa la creazione di possibilità. È la possibilità infatti quella che ci fa vedere oltre la cancellazione di festival e mostre, la chiusura di cinema e teatri. 
Proviamo allora, come scrive in un bellissimo articolo Bruno Latour su Antinomie, a ragionare  anche per il capitolo fiere attraverso “nuovi gesti-barriera eretti contro il ritorno all’identico”, perché forse vale la pena come scrive ancora Latour pensare che “se tutto viene fermato, tutto può essere rimesso in discussione, flesso, selezionato, ordinato, interrotto per davvero o, al contrario, accelerato. L’ultima cosa da fare sarebbe rifare esattamente ciò che abbiamo fatto prima”.
È la possibilità che ci obbliga a ragionare su nuovi modelli di gestione della cultura anche quando grandi musei come MoMA e Guggenheim licenziano frange fragili del capitalismo culturale, come i freelance del comparto educational, e allo stesso tempo aumentano l'offerta di corsi online gratuiti. Questo conferma nel drammatico paradosso il ruolo del museo come infrastruttura educativa e produttiva e insieme ci invita a ragionare sulla sostenibilità degli stessi affinché nessuna delle competenze venga sacrificata. 
Proviamo a fare uno sforzo e immaginare che anche la “fair fatigue” non sia una attitudine pseudo-decadente di chi va per fiere, ma proprio un piacere della complessità, del ragionare sulla città, sui musei e le istituzioni che coinvolge, una idea che sia appunto un “gesto-barriera”: se non lo facciamo ora, quando?
Bobby Darin e Sandra Dee, Rock Hudson e Gina Lollobrigida in Torna a settembre, Robert Mulligan, 1961
Social Distancing
Sembra una variante del “Do not touch”, ma la distanza tra corpi sarà un comportamento sociale e non più solo un avviso al pubblico. L’emergenza sanitaria ha introdotto infatti l’uso copioso della parola nel vocabolario dell’arte che si nutre di comportamenti, di gesti, di riti, di abitudini e di comode scomodità. Quasi fosse un movimento di resistenza vs resilienza curatoriale: niente nel sistema arte e cultura è ufficialmente annullato, ma “solo” allontanato. Potrebbe essere il titolo di una mostra post-COVID19: Social distance: arte durante il virus. Aspettiamo il vaccino e nel frattempo potenziamo le interazioni virtuali per rimanere in contatto con il nostro pubblico in attesa che ritornino quelle reali e progettiamo mostre contingentate? 
La filiera
Costretti ad annullare sono state Firenze, New York e Art Basel Hong Kong, mentre la lista appunto dei “distanziati” si allunga: Art Basel da giugno va a settembre, Colonia da aprile a novembre, Dallas da maggio a ottobre e ancora Art Dubai cerca una data.
La filiera si sa è complessa. Ci sono lo spazio della fiera, ma soprattutto i trasporti di persone e opere, il comfort psicologico dei collezionisti che accedono a ospitalità e tour dedicati in città, il numeroso pubblico pagante, gli eventi in città e ancora la comunicazione, il sistema di commissioni di progetti speciali, la conquista della galleria straniera, grande o piccola che sia che ora forse è più incline a selezionare, a collaborare con altre per condividere costi, capire se è più sostenibile partecipare alle fiere o trovare una formula più diretta di conquista del mercato attraverso un sistema B2C – una sorta di Coldiretti dell’arte, insomma senza il passaggio del Supermarket per quanto gourmet possa essere. Sarebbe possibile?
Certo la filiera è necessaria. In un universo soprattutto italiano di worst practice fondato sulla gratuità diffusa, la fiera costituisce un contesto lavorativo dignitoso per tutti. Le fiere sono una piattaforma di lancio: direttori, artisti e gallerie certo, ma anche per quella straordinaria immissione di contenuti legati alla grafica, alla educazione, alla ricerca nei talks e nella sezioni curate da, alla scoperta di nuovi talenti che allargano la nozione stessa di arte e di artista, insieme alla messa in relazione di contatti spesso privati, per le fiere satellite, il sistema di ospitalità urbano, per la stampa… tutti elementi che viaggiano a una velocità diversa qui e che sono utili per le città che trasformano un evento commerciale in una strategia di turismo culturale. Dal cucchiaio alla città, scriveva Gropius per parlare della capacità del progetto di disegnare un universo prima che un oggetto, dall’opera al marketing potremmo dire pensando alla fiera come driver importanti di immagine per le amministrazioni e le aziende private coinvolte. Ma come si può accelerare il passaggio dal turismo-marketing alla cultura-welfare proprio partendo dal settore trainante e fondamentale del mercato?
Interno del padiglione del lavoro di Pierluigi Nervi per Torino Expo, 1961, Foto di Paolo Monti
Italia
Le principali fiere italiane dunque quelle che si allineano a questi modelli internazionali sono Artefiera, Artissima e miart: queste hanno sempre puntato compatibilmente alle loro risorse sulla internazionalità e dunque meno interessate, rispetto a Verona per esempio o gli esperimenti del centro Italia, al locale, se non di riflesso, attraverso la ricca offerta di manifestazioni e fiere satellite di cui si fanno potenti driver. Simone Menegoi, Alessandro Rabottini e Ilaria Bonacossa vegliano prudenti, più o meno chini sulle piattaforme digitali e attivi su modalità smart working.
“Ti rispondo da Bologna, dove ho deciso di stare”, scrive Menegoi, “ArteFiera è tutta in modalità di lavoro a distanza. Ma al momento si tratta soprattutto di riunioni interne. Difficile interloquire ora con potenziali sponsor o collezionisti; sono troppo concentrati sulle difficoltà del presente. Abbiamo, questo sì, tenuto i contatti con i nostri comitati, mentre per tener vivo il rapporto con i nostri espositori (e soprattutto non far venire meno l’attenzione sul loro lavoro), abbiamo creato una vetrina online in cui, ogni settimana, pubblichiamo immagini e testi relativi alle mostre allestite nei loro spazi. Si chiama “In Galleria” ed è stata, mi pare, la prima iniziativa online varata da una fiera italiana dopo l’inizio della quarantena”. “Penso che la moltiplicazione degli sforzi sul fronte online”, continua Menegoi “avrà conseguenze profonde. Forse non cambierà radicalmente il nostro rapporto con l’arte (sono convinto che l’esperienza diretta resterà insurrogabile) ma avrà certamente un impatto sul nostro rapporto con il mondo dell’arte, e in particolare con il suo mercato. Per quel che ci riguarda, dato lo scenario in cui ci troviamo e la sua fluidità, stiamo considerando anche la possibilità di un piano B digitale. In ogni caso, in tempi come questi, senza una convinzione ferrea nel senso e nel valore del proprio lavoro penso che più d’uno sarebbe tentato di gettare la spugna.”
“Sono a Milano, anche noi siamo in pista con riunioni intense a distanza”, risponde invece Ilaria Bonacossa. “Gli effetti sulle gallerie le vedremo più in là: affitti, produzioni, stipendi. Forse ne risentiranno più i medio grandi, che i piccoli. Certo mi chiedo come realizzare la fiera, anche se le nostre date sono al momento ancora salve e i programmi vanno avanti con le nostre sezioni e formati: ingressi contingentati? Meno partecipazioni dall’estero e più Europa? Quali trasporti? Quale sostenibilità? Rimandare di un anno? Abbiamo la responsabilità dei posti di lavoro e farebbe male al brand.” Artissima ha avuto la fortuna di avere dei forti investimenti sul digitale da Compagnia di SanPaolo e questo le permette di avere una piattaforma già ben funzionante dove comunica durante l’anno se stessa. “Certo il ruolo della mediazione culturale sarà sempre più importante: on line si muove con destrezza il collezionista più informato ma ci potrebbero essere dei servizi maggiori anche per chi fa i primi passi.”
Da Londra, Alessandro Rabottini ricorda un “articolo del direttore del Museo Reina-Sofia di Madrid Manuel Borja-Villel che parla del Covid-19 in relazione a una attenzione maggiore delle istituzioni sul patrimonio della città e il suo territorio”. Mette a fuoco così il tema del locale, della comunità, della prossimità nella molteplicità delle identità culturali di cui è fatta una città. Fuori e dentro una fiera. “Il virus è stato credo un acceleratore di una serie di processi in corso che iniziavano a guardare a diverse modalità di costruzione di un evento culturale tenendo conto della sostenibilità dei prestiti per esempio”. E dunque la centralità delle collezioni, degli archivi e del patrimonio di una istituzione e della sua città come fonte di programma culturale per esempio “possono essere un modello alternativo ai prestiti e della scarsa sostenibilità che ne consegue”, continua Rabottini, “e Milano è una città internazionale, forse più di Basilea in termini di presenze di attori privati in città.” E questo allora è un punto di forza sul quale lavorare.  
Riconvertire, supportare, produrre
Dovrebbero essere questi i compiti di musei e istituzioni soprattutto durante la crisi – e forse anche quello delle fiere curate in un momento come questo che possono potenziale il loro ruolo di driver. Proviamo a fare ponti intesi come gesti-barriera, anche solo per il gusto di avere delle idee.

X Triennale di Milano, Parco Sempione - partecipazione statunitense, abitazione a cupola geodetica Buckminster Füller - Allestimento di Roberto Mango, 1954
Artissima-Miart
Molto prima del Covid-19 ci siamo spesso interrogati sul tema della sostenibilità di due fiere d’arte moderna e contemporanea (se includiamo la sezione Back to Future come incursione nel Novecento di Artissima). Così vicine e così lontane, va detto, perché proprio in questi anni le fiere si sono impegnate a differenziarsi – sgambettante e tentacolare Torino, stilosa e puntuale Milano –, offrendo prospettive diverse sulla ricerca moderna e contemporanea. Possiamo immaginare una alternanza fondata sulla internazionalità di Milano e sulla vocazione all’innovazione di Torino? Se guardassimo alle immagini di archivio, due simboli di questa polarità e potenza progettuale potrebbero essere per esempio la Cupola Geodetica di Fuller alla Triennale del 1954 e Palazzo del Lavoro di Pierluigi Nervi del 1961. Questi sono due modelli che non ci possiamo più permettere sul piano dei costi ma che erano delle potenti idee di spazi di aggregazione – o assembramento dovrebbero dire  – (a partire dalla tipologia del un padiglione domestico e dell’hangar industriale) ai quali oggi dobbiamo ripensare e riformulare sia sul piano dello spazio sia sul piano della curatela. 
Possiamo immaginare una azione su un territorio diffuso e ricco – l’asse Milano/Torino intercetta province e campagne ricche, popolate, industriose dove estendere gli effetti dell’azione dell’arte su un territorio a maglie larghe? Che cosa succederebbe se le due fiere si alternassero e costruissero alternativamente un nuovo modello di produzione per gli artisti e le arti diffuso per la città e il suo territorio, che possa essere un incentivo concreto al sostegno e alla riconversione dei formati espositivi su modello di campagne di aiuto post-belliche? Si potrebbe sarebbe immaginare una rassegna che coinvolga sempre le gallerie, gli artisti, gli operatori e che garantisca però una occasione di ripensamento dello spazio pubblico – che sarà un grande tema proprio in relazione al virus –, del ruolo della provincia e delle campagne, della sostenibilità della filiera stessa?
Luca Vitone, Devla,devla..., una produzione di ArteFiera Bologna, 2019
ArteFiera
Simone Menegoi dirige Bologna da due anni e ha scelto di il team di Fantom per la sezione del contemporaneo; ha senza dubbio spinto molte gallerie a tornare a Bologna e le istituzioni che in città ci sono sempre state sanno alternare ricerca a divulgazione. 
La stessa ArteFiera con progetti come l’happening di Luca Vitone, Devla, Devla, pensato per gli spazi della fiera, ottiene due risultati. Quattro rom, nascosti dietro un separé connotato da un’immagine più volte elaborata dall’artista, leggono il futuro ai visitatori che si lasciano coinvolgere dalla loro pratica di chiaroveggenza. Il progetto allora da un lato gioca con la relazione tra la chiaroveggenza di tradizione Rom, popolo al quale l’artista ha dedicato una lunga ricerca supportata dall’Italian Council intitolata Romanistan, e l’attività di scoperta dei collezionisti in fiera e dall’altro prosegue la ricerca sulla performance che dalla Settimana della Performance di Renato Barilli del 1977 arriva sino a oggi con il lavoro prezioso di Xing. Bologna è il moderno certo ma potrebbe essere la ricerca sul moderno-contemporaneo? Bologna è anche la sua straordinaria regione, le sue università, i suoi archivi cruciali per la storie delle arti – penso solo per fare degli esempi banali allo CSAC di Parma, città per altro che ha ottenuto di spostare la nomina di Capitale della Cultura al 2021 o la Cineteca di Bologna stessa – i luoghi e i saperi legati alla cultura del cibo…. Forse si potrebbe allora ragionare come fanno i fondi ERC per la ricerca europea: per grandi temi a lunga scadenza, coordinati da cluster che permettano di guardare al territorio, scovare talenti e organizzarli entro percorsi di ricerca generosa in termini di cronologie e collegamenti interdisciplinari. Non so, gesti-barriera (anche solo immaginari) per un ipotetico “Torna a settembre”…
Crediti
Foto di copertina: Aggregate, Alexandra Pirici, courtesy Art Basel, 2019