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Triennale Milano
droog
Droog30. Design or Non-design?, installation view, foto Gianluca Di Ioia

Droog Design, trentenni e modernissimi

21 aprile 2023
Antesignani delle limited edition, spesso creati con materiali poveri o a partire dall’assemblaggio di elementi di risulta risemantizzati, pervasi di ironia, gli oggetti proposti dal collettivo olandese a geometria variabile celebrato dalla mostra-tributo Droog30 incarnano lo “spirito degli anni Novanta”. E mettono sul piatto una serie di questioni che sono ancora centrali nel design contemporaneo.
Droog30. Design or Non-design?, installation view, foto Gianluca Di Ioia
Milano, aprile 1993: Droog Design (in olandese, design “secco”, “asciutto”, “diretto”) fa la sua prima apparizione al Fuorisalone, già informalmente chiamato così da alcuni addetti ai lavori, con una mostra allestita all’interno di un appartamento di via Cerva. Al centro c’è una serie di pezzi, autoprodotti da un gruppo di designer olandesi e selezionati dalla storica dell’arte Renny Ramakers e dal progettista Gijs Bakker, che colpiscono gli osservatori per la loro essenzialità e freschezza. È il momento della consacrazione internazionale per un movimento giovanile sia anagraficamente – è stato fondato pochi mesi prima e può vantare una sola esperienza espositiva di rilievo, in uno dei più famosi club musicali  di Amsterdam – sia per quanto riguarda l’età media dei suoi membri, nella maggior parte dei casi neolaureati, e fino a quel momento noti soltanto in ambito locale. Come scrive Paola Antonelli nella prefazione al libro Spirit of the Nineties (010 publishers, 1998), il lavoro di Droog “arriva come un sottile, ma potente, segno dei tempi” che viene prontamente intercettato dalla comunità del design. Sono gli anni in cui all’opulenza del decennio precedente si sostituisce un’estetica più misurata in tutti gli ambiti creativi, a cominciare dalla moda, e in cui la sovrabbondanza delle merci nelle società occidentali smette di incantare e comincia a preoccupare. Gli scapigliati olandesi colgono nel segno proponendo una particolare concezione del “less is more”: all’asciuttezza delle forme e alla riduzione della quantità di materiale utilizzato corrisponde un surplus concettuale, una particolare stratificazione di contenuti e messaggi, soprattutto di carattere sociale.
Tejo Remy, Rag Chair, photo Lisa Gaudaire
In trent’anni di storia – in gran parte attivo, con mostre, pubblicazioni e circa 200 oggetti elaborati da un centinaio di designer e raggruppati sotto l’etichetta Droog Design, e solo nell’ultimo tratto focalizzato esclusivamente alla preservazione dell’heritage – il collettivo si è trovato spesso a giocare il ruolo di precursore. Ha anticipato, per esempio, il fenomeno delle edizioni limitate e le crescenti intersezioni tra design, arte e artigianato in un momento storico in cui le logiche della produzione industriale e della serialità rimanevano dominanti. La Knotted Chair (1996) di Marcel Wanders, per esempio, concilia aspetti apparentemente contraddittori come l’uso di materiali tecnologici (una fibra di carbonio rivestita in fibra di aramide e successivamente irrigidita con resina epossidica, infine stesa ad asciugare) a procedimenti low tech come il macramé. I designer di Droog si sono inoltre preoccupati dell’impatto ambientale delle cose e di espandere il loro ciclo di vita, integrando nei progetti elementi di recupero e regalando una nuova, sorprendente giovinezza a oggetti antiquati o usurati. La cassettiera Chest of Drawers - You Can’t Lay Down Your Memories o la poltrona Rag Chair, entrambi ideati da Tejo Remy nel 1991, lo stesso anno in cui si laureava alla Scuola d’arte di Utrecht (HKU), nascono dall’assemblaggio di objects trouvés: venti cassetti di diverse forme e dimensioni, completati con altrettanti contenitori in legno su misura, impilati e tenuti insieme da una cinghia, nel caso della cassettiera; una pila di stracci colorati e vestiti vecchi disposti su una base in legno e stretti da fascette d’acciaio, per quanto riguarda la seduta. Si tratta di oggetti che non hanno una configurazione fissa, e lasciano all’utente finale la possibilità di ricomporre l’insieme tutte le volte che lo desidera, personalizzandolo a piacere (integrando i cassetti con altri oggetti, oppure incorporando i propri abiti dismessi nella composizione).
Marcel Wanders, Knotted Chair
L’utente può anche essere chiamato a intervenire nel processo di creazione, facendosi carico di una parte di esso e contribuendo a caricare il prodotto di significato con i propri gesti. Gli oggetti della serie Do Create, disegnata per l’agenzia pubblicitaria KesselsKramer e presentata a Milano durante il Salone del Mobile del 2000 e in giro per il mondo nei mesi successivi, nascono come interattivi e hanno bisogno del contributo del visitatore per esistere. Anche i titoli incitano all’azione: Do Hit di Marijn Van der Poll è una poltrona da scolpire a martellate, a partire da un cubo d’acciaio, attraverso un procedimento che viene presentato anche come un modo per scaricare lo stress, con una buona dose di ironia, mentre Do Frame, del designer spagnolo Marti Guixé, è un nastro adesivo in vinile che può essere usato per “incorniciare” qualunque cosa trasformandola in un’opera d’arte. Dagli esseri umani agli altri esseri viventi il passo può non essere lunghissimo. L’Honeycomb Vase di Tomáš Gabzdil Libertiny, progettista slovacco formatosi come molti colleghi nell’orbita di Droog alla Design Academy di Eindhoven, è stato letteralmente “co-disegnato con le api” usando una tecnica di prototipazione delle più lente. Nel corso di una settimana, infatti, 40.000 insetti hanno investito una impalcatura tridimensionale creata dal designer e costruito su di essa un alveare che ne ricalca la forma.
Droog Design, Presentation Milan, 1993, courtesy Droog foundation