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Triennale Milano

Città e progetto

4 maggio 2020
L'architetto Cino Zucchi discute con Stefano Boeri, Presidente di Triennale Milano, di architettura nel periodo post COVID-19 e del ripensamento degli spazi – di lavoro e di abitazione – sulla base di una nuova fruibilità e convivialità, durante un incontro promosso in collaborazione con Lavazza, Partner Istituzionale di Triennale Milano, in occasione di Triennale Decameron.
“Il tema del continuo riaggiustamento è quello che De Carlo chiamava spazio-società. In questi giorni i giornalisti hanno chiesto a noi architetti come sarà il mondo dopo il coronavirus. Esiste una dimensione intima, individuale con cui ognuno di noi reagisce a questa situazione; se, però, devo pensare a come questo influenza la pratica, vorrei introdurre un concetto di architettura just out of time. Io credo che l’architettura sia un oggetto pesante, nella sua dimensione urbana, che spesso viene generata da un programma che ci mette un pò di tempo a trasformarlo in forma e dargli risposta fisica. L’architettura in Europa ha dei tempi piuttosto lunghi. Ora che arriva è già un pò vecchia, rispetto al programma che l'ha generata.”
“Io credo che in questo momento le piazze ci stanno aspettando fuori, non si contraggono come dei palloncini per la nostra assenza, quello che forse cambia è una certa identità di forma e un cambio molto grande di senso. La piazza fisicamente non è cambiata molto. Non voglio portare un’idea conservativa, ma è chiaro che non possiamo ricostruire la città ogni trent’anni. Il problema sta nel capire il ritmo giusto di queste modifiche. Spesso parliamo del tema, ma non è del tutto chiaro forse come lo spazio influenza le persone e le persone modificano lo spazio.” 
Cino Zucchi
D residential building, ex Junghans area, photo by Cino Zucchi, 1997–2003
“Io credo che il tema degli spazi aperti sarà fondamentale, cioè l’estroversione di una serie di attività che oggi avvengono in spazi interni: penso agli spazi della cultura, dell'intrattenimento, dello sport. Sarà fondamentale per ridurre al minimo il rischio di contagio. Che fare? Questo vuol dire fare tutto un sistema di trasparenza basato sulle strutture di plexiglass? Basarci solo sul controllo digitale per accedere agli spazi pubblici? Io sono preoccupato dal fatto che si esca da questa situazione con città ancora più congestionate e inquinate; sarebbe veramente inaccettabile.”
Stefano Boeri
“La dimensione di prossimità elettronica che stiamo usando adesso era già in atto; il prossimo big one sarà un'altra epidemia o è un raggio che interrompe tutta l’elettricità e internet? Fra tre o quattro generazioni nessuno saprà più usare le cose, i nostri sistemi biologici sono già legati all'elettronica, così come gli aeroporti e la salute. Non si può tornare a Robinson Crusoe, ma pensate che oggi c’è un'epidemia molto più grossa, ovvero il fatto che ormai l'intera vita biologica del pianeta sia intersecata dall’information technology e se per caso venisse meno questa nessuno sarebbe più in grado di sopravvivere. Tutte le catastrofi hanno delle dimensioni neo artigianali. Nelle guerre ci si faceva il pane da soli. Nel 1920 a Berlino, le siedlungen avevano un orto perché prevedevano delle grandi crisi economiche e in questo modo l'operaio poteva coltivare da solo. Il concetto di siedlungen era quello dell'autosufficienza intersecata tra mondo operaio e agricolo. Io vedo un incremento della dipendenza dagli elementi informatici che dà per scontato che esso sia eterno. Nel momento in cui sparisse, non sarebbe quella la catastrofe?”
“Talvolta i sistemi informatici fluidificano il rapporto, facilitano la vita e talvolta, invece, la protocollano. Forse questa seconda parte, dove il media, lo strumento prende troppa attenzione va bilanciata. L'obiettivo è trovare un equilibrio ragionevole; né l'eccesso nostalgico, ma nemmeno la tecnocrazia informatica.”
Cino Zucchi

Lavazza Headquarters, 2010–2017. Photo by Andrea Martiradonna
Lavazza Headquarters, 2010–2017. Sketch by Cino Zucchi
Lavazza Headquarters, interni, 2010–2017. Photo by Cino Zucchi
“C’è un punto profondo un pò inesprimibile che tocca il tema del mito del team working in architettura e il tema dell'autografia, quel lavoro fra sé e sé in cui non si ha bisogno di parlare. Questo distanziamento e la difficoltà di togliere l'elemento prossemico, più che un tema di quanto sono distanti le persone, pone alcune questioni teoriche sul rapporto fra team e architetto che lavora da solo.”
Cino Zucchi
Subsidized residential tall buildings, Nuovo Portello masterplan, modello, 2002–2008