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Arte e meme: un riparo di ironia

18 gennaio 2023
Che rapporto c'è tra arte e meme? Come funziona e come ha origine uno dei mezzi di comunicazione più usati sul web oggi?
Cosa è un meme? Principalmente una forma. Non un singolo contenuto, ma una cornice di contenuto: ogni meme, infatti, si struttura in due parti, una invariabile, la cornice memetica, e una variabile, il contenuto.
Come ha origine un meme? Un meme è prima di tutto un contenuto virale, un’immagine, un video o anche un testo che circola tra gli utenti del web e si trasforma in una base per altri significati. Del resto, il meccanismo è richiamato dalla parola stessa “meme” (dal greco mímēma, "imitazione"), nata per assonanza a gene nella descrizione di quei processi che nella cultura si riproducono (Richard Dawkins, Il gene egoista, 1976).
Il meme oggi potrebbe essere definito come una precisa manifestazione del mondo digitale: “Quel fenomeno virale che non mira semplicemente a riprodursi ma a reinventarsi” (Alessandro Lolli, La guerra dei meme, 2020). Questo perché i meme sono soggetti alla continua rielaborazione e manipolazione da parte di un pubblico sempre più attivo e consapevole. Una volta creata la base, gli utenti si divertono a reinterpretarla applicandola a contesti e a contenuti diversi. A determinare il successo di una base memetica è il suo grado di adattabilità e quindi il suo potenziale a essere condivisa – se ne stanno accorgendo pubblicitari e politici, che sempre di più negli ultimi anni usano i meme come strumenti di advertising e propaganda. Ovviamente, gli esiti, gli sviluppi e le fasi di recupero di un meme sono spesso imprevedibili.
Ma come funzionano i meme? Il loro meccanismo principale è l’ironia, non nel senso comune contemporaneo, che “fa ridere”, ma ironia intesa etimologicamente come “dissimulazione del proprio pensiero” (Treccani). Il meme è ironico perché è stratificato, perde traccia del proprio significato originario via via che assume nuovi livelli di lettura. Ogni meme quindi è composto almeno da un doppio layer, o codice, che potremmo leggere seguendo Erwin Panofsky secondo diversi livelli di analisi iconografica, a partire dal significato descrittivo per arrivare al significato espressivo, fino al contesto culturale che ha prodotto il determinato contenuto. Pensiamo ad esempio a uno dei meme più iconici: Coughing Cat. A prima vista sembrerebbe un semplice gattino dall’espressione molto strana. Guardando con più attenzione scopriamo che quel gattino è stato classificato come meme con il nome di Coughing Cat, e che si riferisce all'immagine photoshoppata di un gatto diventata virale dopo essere stata paragonata all’espressione che fanno i bambini quando tossiscono. Da allora, in contesti diversi si è prestata a sempre nuove interpretazioni testuali.
Liberi tutti: arte collettiva?
Riassumendo, il meme, che Lolli definisce l’undicesima arte dopo il fumetto, è un’entità intrinsecamente eterogenea, la cui continua mutazione e diffusione comporta una perenne stratificazione di significato profondo e significato reale, secondo i codici di un’ironia più o meno condivisa. Qualcosa delle immagini che riemergono da foto amatoriali, stock o cartoni animati, stretchate e alterate per accogliere nuovi significati rimanda a quello che Hito Steyerl, artista e teorica dell’arte, denonima poor image: “An illicit fifth-generation bastard of an original image”. La possibilità – o meglio l’esigenza – di manipolare l’immagine, barattandone la qualità con la velocità di diffusione, corrode la distanza tra autore e consumatore: “Users become the editors, critics, translators, and (co-)authors of poor images”.
Un sogno, questo, accarezzato da più di un’avanguardia artistica nel corso del secolo scorso. Come sottolinea Valentina Tanni in Memestetica (uno dei testi di riferimento del panorama italiano per chi voglia approcciare il rapporto tra arte e meme), se si osserva il panorama dal piccolo e isolato castello dell’arte contemporanea, vedere “i comportamenti artistici finalmente calati nella vita quotidiana” è l’apice di un’arte finalmente collettiva, spogliata di ego e di sistema, di tutti e per tutti. Ma è davvero così?
Non possiamo non tenere conto che l’origine profonda di questi template è radicata in canali non fruiti dal grande pubblico (4chan, reddit), i cui autori praticano una forma anche radicale di anonimato (su 4chan, per esempio, è impossibile registrarsi con i propri dati personali e si viene identificati tramite un numero progressivo relativo al proprio log-in sulla piattaforma). Consapevoli del loro operato, gli autori senza nome difendono la paradossale partenogenesi delle proprie basi memetiche scrivendo manifesti in html (linguaggio di programmazione incomprensibile per chi non ha basi informatiche).
La “normificazione” dei meme e la loro diffusione sui principali social network che li rende accessibili all’utente medio – normie – è soltanto una fase successiva, eppure fondamentale. Se è vero che il concepimento del meme è considerabile come elitario (e la sua autorialità non è tanto morta quanto trasformata), è anche vero che quello che intendiamo come meme non è un’incarnazione specifica, ma il volume complessivo delle sue versioni (Lolli), quali che siano le comunità capaci di cogliere l’ironia del significato profondo condiviso.
The Irony Courtain
“La capacità dell’arte contemporanea di incidere sull’immaginario collettivo si sta lentamente azzerando” – scrive Tanni – “dopo aver aspirato per secoli alla fusione tra arte e vita [...] gli artisti sembrano ora spaventati dall’ondata di creatività amatoriale [...] e così, lo stesso sistema che continua a dichiararsi impegnato in una missione di educazione e coinvolgimento del pubblico [...] erige barriere ed escogita espedienti per ‘proteggere’ l’opera d’arte dalla contaminazione con il mondo esterno.”
Un paradosso, quello evidenziato dall’autrice di Memestetica, che segue un progressivo scollamento dell’arte dalla tecnica – ultimo baluardo misurabile – e la sua sostituzione con un processo intellettuale, da una parte non radicato in un’abilità particolare e quindi teoricamente accessibile a tutti, dall’altro spesso sconosciuto (e a volte inconoscibile) ai più. 
L’immagine della Gioconda è emblematica. Nel 1919 Marcel Duchamp le dipinse i baffi titolando il ritratto con l’acronimo L.H.O.O.Q. (la cui pronuncia francese suona come elle a chaud au cul, “ella ha caldo al culo”). Dopo di lui, nel 1963 Andy Warhol la utilizza in una serie di stampe policrome. Ma non solo nell’arte si diffonde la pratica di manipolare immagini universalmente riconosciute, la stessa icona viene infatti utilizzata anche in ambito pubblicitario da Ferrarelle in una campagna del 1982.
Se quest’uso delle immagini artistiche è divenuto quasi abituale, può forse stupire la scelta di affidarsi alla tartaruga ninja Leonardo come parte di una base memetica di discreto successo utilizzata dal canale ufficiale del Ministro della difesa ucraino per ringraziare del loro servizio i migliori missili della propria batteria. In risposta al monolitico isolamento mediatico russo, l’Ucraina ha infatti scelto di utilizzare – anche nel digitale – un approccio empatico alla costruzione del consenso. Il feed dell’account twitter ufficiale Defense of Ukraine (con 1.7 milioni di follower) è un mix equilibrato di futuri genitori in tenuta militare, gattini, ex modelle che hanno abbracciato il campo di battaglia, conteggio delle “forze del nemico” eliminate e meme i cui strali ironici strizzano l’occhio a quella necessità di sorridere di fronte alla catastrofe imminente che pervade lo spirito degli ultimi decenni. Uno scarto interessante per una comunicazione nazionale che, però, non sconvolge gli antichi dettami della difesa della patria e della costruzione del nemico. L’ironia, in questo caso, si fa stagnante: scioglie la tensione del conflitto e, allo stesso tempo, conferma una visione del mondo che ha ben poco di rivoluzionario.
Il meme per la difesa nazionale è un esempio iper specifico, ma davvero il meccanismo profondo dei meme è così diverso? Lì dove l’arte contemporanea si fa distante e inappellabile – e anche quando avvicina la pratica memetica lo fa autoreferenzialmente, limitandosi a criticare le proprie strutture e i propri meccanismi (si vedano freeze_magazine o makeitalianartgreatagain) –, la proliferazione memetica è relatable, un commentario perenne e potenzialmente adattabile a ogni situazione, che nei casi migliori svela, dissacra, ma non costruisce.
“In grado di monopolizzare l’attenzione degli utenti sul web” (Treccani), i meme possono essere considerati il vero e proprio linguaggio di una generazione che si è abituata a rispondere con un sorriso scanzonato al mondo in collasso che la circonda. E se pensiamo a Duchamp che in piena guerra mondiale propose un orinatoio a un concorso d’arte, forse è proprio questa la più importante delle sue eredità: erigere un riparo di ostinata ironia. Ma se proviamo a immaginare un mondo in cui questa barriera può essere abbattuta, cosa vi troveremo dietro? Macerie, coughing cats, un mondo pericolosamente simile a quello che conosciamo? Che vita c’è dietro questa iron(y) courtain?