© The Challenge (2016)
Yuri Ancarani si racconta in un’intervista tra cinema e videoarte
30 marzo 2022
Yuri Ancarani è tra i più acclamati video artist e filmmaker italiani. Nelle sue opere l'approccio documentaristico si traduce in codici prossimi alla videoarte, una cifra stilistica che lo rende immediatamente riconoscibile e al contempo avverso a qualsiasi netta classificazione. I suoi film sono stati presentati nei maggiori festival e nelle più prestigiose gallerie d’arte contemporanea del mondo. Nel 2021 il suo ultimo lungometraggio, Atlantide, ha ricevuto il plauso della critica alla 78ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia e più di recente, dallo scorso novembre, ha avviato una collaborazione con Triennale per filmare l’azione performativa Milano, ideata e diretta da Romeo Castellucci, regista e Grand Invité di Triennale Milano 2021-2024. Il progetto, ispirato alla danse macabre, ha riunito cento performer travestiti da scheletri in marcia per le strade del centro di Milano nella notte tra il 20 e il 21 novembre 2021. Gli attori hanno camminato per più di un’ora, percorrendo piazze, luoghi monumentali e sagrati, da Triennale fino al Duomo. Il film è presentato in Triennale in prima assoluta il 3 aprile 2022. Il dialogo che segue si è svolto durante la tournée americana dell’artista, in procinto di presentare Atlantide al MoMA di New York.
Yuri Ancarani © Maki Galimberti
Ciao Yuri, parliamo di Milano, ma anche di te. Com’è andata ieri sera? C’è stata l’anteprima di Atlantide negli Stati Uniti, al MoMA, dove verrà proiettato per più di una settimana.
Non sai cos'è successo. C’è stato un attentato qualche giorno fa proprio al MoMA. L’hanno riaperto solo ieri. La première concordata è saltata, ma è certo che Atlantide sarà presentato lunedì e verrà proiettato per l’intera settimana. Quando abbiamo organizzato questo screening la paura era che si sarebbe potuto rimandare a causa della pandemia. Ci pareva di aver trovato il momento giusto, ma poi è successo l’attentato.
Viriamo su Triennale. Hai filmato l’azione performativa Milano di Romeo Castellucci. Cosa puoi dire di questo lavoro?
Seguo il lavoro di Romeo Castellucci da quando sono studente e ho per lui una grandissima stima. Penso che abbia dato tantissimo al mondo del teatro e dell’arte. Quando mi ha proposto questa collaborazione ho subito accettato, mi sono messo al suo servizio perché l’azione performativa venisse documentata. Lo sforzo si è subito diretto verso la ricerca di un’armonia con il progetto. Trattandosi di un'apparizione momentanea e non dichiarata, pure noi saremmo dovuti essere invisibili. Per cercare l’assoluta leggerezza abbiamo utilizzato anche dei telefoni. Inoltre alle riprese hanno partecipato i miei studenti della NABA, nel rispetto della regia di Romeo. Loro non sapevano cosa si sarebbero trovati davanti, gli ho solo indicato degli orari e delle posizioni. Non avevano altre indicazioni quando si sono trovati davanti questa “danza macabra”.
© Atlantide (2021)
Avverti una vicinanza con Romeo? Anche lui cerca di estetizzare il terribile.
Proveniamo entrambi dalla stessa regione, la “Romagna felix”: da decenni – per non dire da sempre – generatrice di artisti. Sicuramente condividiamo qualcosa, ma la nostra estetica è indipendente. Oggi il bello fa paura; il brutto invece è rassicurante. Il concetto di bellezza continua a cambiare. Entrambi – potrei dire – siamo in grado di concepire una bellezza che spaventa.
Torniamo su di te, come procede la tua tournée?
Al MoMA ci saranno due appuntamenti. Oltre ad Atlantide, ad aprile ci sarà una retrospettiva sui miei cortometraggi. Poi mi sposterò a Los Angeles, per uno screening all’Hammer Museum. Siamo finalmente tornati alle aperture dei festival e dei musei, ma la situazione è rimasta tremenda. La violenza regna in ogni angolo, ovunque ci si muova.
Davanti alla continua evocazione della violenza, una costante anche nel tuo lavoro, ti chiedo se puoi lanciare uno sguardo sul dramma di questi giorni.
Atlantide parla proprio di questo. L’aggressività auto distruttiva degli adulti nasce nel periodo dell’adolescenza. Finché gli adolescenti sviluppano questo senso di competitività, questa tensione alla vittoria, i problemi della nostra Storia non si risolveranno. Daniele, con il suo barchino, non è poi tanto diverso da un Elon Musk con il suo missile. Una questione di cui avrei dovuto parlare al MoMA. Per quanto riguarda quello che posso fare, domani sarò alla grande manifestazione per la pace in Ucraina proprio qui a New York. Quando mi sposto e scopro che c’è una manifestazione, ci vado.
"Oggi il bello fa paura; il brutto invece è rassicurante. Il concetto di bellezza continua a cambiare."
Yuri Ancarani
© Il capo (2010)
Ti spetta una domanda terribilmente scontata, ma che è sempre opportuna quando ci si approccia al tuo lavoro. Le tue opere viaggiano sul doppio binario del documentario e della videoarte. Sei d’accordo?
Mi aspettavo la domanda e mi rendo conto che sia diventata quasi rituale, un motivo ricorrente intorno al mio cinema. Se vogliamo semplificare: sì, sono d’accordo. Ma allora parliamo di immagini in movimento. Le immagini sono impalpabili: esistono e si muovono in ogni ambito, senza paura di attraversare i confini. Il mio lavoro è così: un fluido che non può essere contenuto, che può essere cinema ma anche memoria; documentazione di un’opera di Castellucci, per esempio.
Che futuro vedi per un cinema come il tuo?
Il cinema è un contesto vasto e al suo interno si sta consumando una guerra tra chi vorrebbe solo farci dell'intrattenimento e la sua controparte autoriale. Io mi sento al sicuro nei musei: luoghi eterni, i cui magazzini assicurano lunga vita all’arte.
Sei andato al cinema recentemente? Parlando di mainstream, per esempio, che ne pensi della questione dibattuta sullo statuto dei cinecomic?
A me il cinema interessa e ci vado. Quello che non mi interessa è l’intrattenimento. Oggi il controllo di massa si esercita anche con l’intrattenimento. L’intrattenimento mi repelle in ogni sua forma: voglio fare esperienze, non essere intrattenuto. Per questo vado ai festival, dove vedo tanti lavori interessanti che probabilmente non verranno mai distribuiti.
© San Siro (2014)
Ti senti più al sicuro nei musei, ma per i cinema si è appena concluso il periodo forse più terribile per la sua storia. Temi che qualcosa sia inevitabilmente cambiato?
Quando ho iniziato gli studi, negli anni novanta, già mi dicevano che la videoarte era morta, che non c’era più niente da dire col video. Questi discorsi non mi hanno scoraggiato ma stimolato a trovare una mia strada. Ogni tanto se ne esce qualcuno che afferma che non sia più “come una volta”. Ma la realtà è che non è mai “come una volta”. Proprio durante la pandemia ho iniziato la mia prima vera esperienza distributiva. Per me è stata un’opportunità: mentre l’industria ritirava il suo cinema dalle sale per questioni economiche io mi sono trovato nella situazione di poter mostrare Atlantide molto di più di quanto fosse inizialmente previsto. Un film che sarebbe dovuto uscire come evento per tre giorni lo si può ancora trovare in qualche sala.
Atlantide la scorsa settimana è arrivato in VOD su Amazon Prime Video, sul canale di I Wonder.
Un film che parla di violenza deve essere visto il più possibile. Lo streaming di Atlantide sta andando molto bene, il distributore è contentissimo. Dice che va meglio di alcune commedie francesi [silenzio, poi scoppia a ridere]. Insomma, se lui è felice lo sono anch’io. Vederlo on demand per ora è possibile solo in Italia. Un’opportunità per studiarlo o per chi non ha avuto una sala vicino che lo ha proiettato. La visione al cinema è diversa, lo sanno tutti. Basti pensare al fatto che in sala ci sono venti casse e un subwoofer. È la stessa differenza che c’è tra ballare a casa propria, con il telefono collegato a una cassa, e stare in un club o a un rave.
Quand’è che i tuoi lavori si potranno rivedere in Italia? So che l’anno prossimo ci saranno due retrospettive, a Milano e a Bologna.
Atlantide tornerà a Venezia tra poco, per tutta la durata della Biennale Arte verrà proiettato al Teatrino di Palazzo Grassi. Per ora mi limito ad accompagnare il film.
Per concludere, raccontami qualcosa in più sulla tua poetica, sul tuo rapporto con il reale.
Il mio lavoro è in stretto rapporto con la realtà e mi interessa guardare attraverso il mio occhio. Quando definiscono i miei film documentari non so bene quanto essere d’accordo, ma non posso negare che senza un approccio documentaristico non mi sarei potuto spostare come è successo. Nessuno crede più alle storie fantastiche; ora si ride quando si guarda un film horror. Ciò che fa paura invece è proprio la realtà. Il mio cocktail è bellezza e realtà, e piace alle persone: crea scompiglio ed emozione dentro di loro.
© Da Vinci (2012)