REGALA TRIENNALE
Un anno di mostre, spettacoli e concerti tutti da condividere. Scegli e regala la nostra membership.
Triennale Milano
vallortigara
Anna Dumitru e Alex May, ArchaeaBot, foto Alex May

L’arte vista da un neuroscienziato. Intervista a Giorgio Vallortigara

10 marzo 2023
Cosa significa “sentire” l’arte? Ne discutiamo con lo scrittore e neuroscienziato Giorgio Vallortigara.
Uno dei presupposti del suo recente libro edito da Adelphi, Pensieri della mosca con la testa storta, è che l’uomo  abbia un’idea antropocentrica di coscienza… Ma cosa vuol dire essere “coscienti”? 
La parola “coscienza” ha molte accezioni, dalla “coscienza morale” nelle parole del politico al paziente che ha “perso coscienza” nel gergo dell’anestesista. Tuttavia per chi si occupa di neuroscienze il problema riguarda la natura dell’esperienza. In parole semplici, ci sono attività che l’uomo conduce accompagnate dal sentire qualcosa, e altre invece in cui svolge  solo un comportamento, senza alcun accompagnamento esperienziale. Il problema quindi è il seguente: perché e come accade che l’uomo, a volte, senta qualche cosa, provi qualche cosa?
© Philipp Hubbard
Le faccio subito una seconda domanda che è un long shot: oltre all’uomo, esistono forme di vita in grado di produrre arte o di fare esperienza dell’arte? Oppure: cosa significa, secondo lei, fare esperienza (da produttore o da fruitore) dell’arte?
Abbiamo spesso una concezione antropomorfica della coscienza perché non distinguiamo il fenomeno dell’avere esperienza dagli specifici contenuti di un’esperienza. Sente qualcosa un grillo? Io penso che possegga la circuiteria neurale minima necessaria ad avere esperienze, per esempio la capacità di sentire il canto di un conspecifico non solo per rispondergli. Oppure che possa sentire dolore. Questi contenuti di esperienza sono gli stessi che prova un uomo adulto? Non lo so, ma non credo. Penso piuttosto che siano incommensurabili in specie così diverse.
L’arte è un prodotto della storia e della cultura umana. Non credo vi sia nulla di simile negli altri animali. Sospetto però che vi sia nelle altre creature la possibilità dell’esperienza estetica, che costituisce il prolegomeno per lo sviluppo dell’arte (è significativo, però, che a partire dall’arte moderna si sia allontanata dalla mera esperienza estetica). Negli animali non umani l’esperienza e la valutazione estetica le si osservano in special modo nel contesto della selezione sessuale – negli ornamenti ad esempio, sia morfologici sia comportamentali. È probabile che la selezione sessuale abbia fornito l’abbrivio per lo sviluppo dell’arte nella nostra specie. Come osservo spesso, l’arte, la poesia, il teatro, la letteratura sembrano un po’ il nostro equivalente neurologico della coda del pavone.
Molti anni fa mi capitò di leggere il brano di Jorge Luis Borges in cui parla dell’esperienza estetica come imminenza di una rivelazione che non si produce (spesso l’innamoramento ha la medesima qualità). Ne fui colpito e così ho pensato di usare l’idea come metafora per il meccanismo che secondo me sarebbe responsabile della coscienza: un segnale in attesa di qualche cosa che se non si produce genera esperienza.

Perché e come accade che l’uomo, a volte, senta qualche cosa, provi qualche cosa?
Lesley-Ann Daly, North Sense on mannequin
Unknown Unknowns, la 23ª Esposizione Internazionale di Triennale Milano, ha effettuato un continuo zoom in e zoom out,su discipline che vanno dalla nanotecnologia all’astrofisica, con uno sguardo spesso “immaginifico”. Era un intero spazio dedicato all’intelligenza dei materiali, o un altro incentrato sull’esplorazione spaziale. Trovo che ci sia, in generale, una tendenza nell’arte contemporanea a cercare nuove soluzioni, formali e contenutistiche, nelle scienze. Perché? 
In realtà è sempre stato così, no? Agli inizi della mia carriera mi sono occupato di una classe di fenomeni assai intriganti per chi studia la fisiologia del sistema visivo, ovvero degli effetti stereocinetici. Si tratta di figure bidimensionali costituite ad esempio da cerchi o dischi concentrici o ellissi che quando vengono fatti ruotare lentamente sul piano producono prima degli effetti di deformazione elastica o di moto relativo tra le parti, e poi, dopo breve osservazione, si percepiscono come oggetti tridimensionali che oscillano nello spazio con movimenti molto dolci e un’apparenza allucinatoria. Li scoprì il padre fondatore della scuola di psicologia sperimentale padovana, Vittorio Benussi.
Saggio di Flora Onirica, foto DSL Studio
Il mio primo paper fu appunto la descrizione, poco più di una breve nota, di una variante di queste illusioni in cui si producono anche dei contorni fantasma ( nota come “Saturn illusion” in letteratura). Anni dopo ci sono tornato per verificare se le illusioni fossero percepite anche dagli animali non umani (pare di sì, almeno dai pulcini e dalle uistitì, piccole scimmie diffuse in America Meridionale, che sono sensibili all’illusione). La cosa interessante è che i fenomeni stereocinetici costituiscono la base dei celebri Rotoreliefs di Marcel Duchamp. Da quanto documentato non si sa se Duchamp fosse al corrente del lavoro scientifico di Benussi (condotto attorno al 1920). In questo caso l’arte ha seguito cronologicamente la scienza ma vi sono anche esempi di artisti che hanno anticipato il lavoro degli scienziati, come nel caso delle intuizioni di Marcel Proust sulla natura ricostruttiva della memoria che anticipano molta della neurobiologia più recente. Questo genere di stravaganti affinità mi entusiasma molto. Credo che i giovani scienziati (e i giovani artisti) siano particolarmente preparati ad apprezzarle. L’anno scorso nel mio laboratorio ho avviato, quasi per caso, una specie di pericolante ponteggio in questa direzione. In maniera non sistematica, un po’ opportunisticamente, sulla base di incontri e relazioni del tutto personali, ho invitato artisti delle specie più varie a venire a trovare me e miei studenti per raccontare il proprio lavoro o semplicemente qualche aneddoto, alternando chiacchierate ai più tradizionali talk dei colleghi scienziati in visita al laboratorio.
Susanna Hertrich, Interspecies
Nel suo libro ogni capitolo si apre con un esergo molto spesso letterario. Trovo che il suo modo di raccontare o anche solo di “immaginare” sia influenzato dall’arte e, più nello specifico, dalla letteratura. Cosa piace leggere a un neuroscienziato?
Ho letto pochi giorni fa Pietro Citati che diceva che la lettura e i libri sono l’unica cosa illimitata del mondo: “Leggerò, leggerò – chissà cosa (…). Bisogna che non muoia troppo presto”. Sì, i libri sono molto importanti per me. Non me la sento però di fare torto a qualcuno dei miei autori più amati omettendo di menzionarlo, e la lista completa sarebbe troppo lunga. Per cavarmi d’impaccio le cito i libri che sto leggendo in questo periodo, due dei quali già terminati, e che mi sono piaciuti molto: Shock di Carlo Patriarca e Il continente bianco di Andrea Tarabbia. Il terzo invece è una lettura in corso: Respira di Joyce Carol Oates. Lo sapeva che il marito di Oates era un famoso neuroscienziato di Princeton? Scomparso pochi anni fa, Charles Gross; c’entra anche un po’ con la trama del libro. Insomma: tutto si tiene, come vede…
Crediti
Giorgio Vallortigara, neuroscienziato, è professore ordinario all’Università di Trento al Centre for Mind/Brain Sciences (CIMeC).