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Triennale Milano
Alberto Meda con la sua Light Light, piazza Rossa, Mosca, 1989, foto di Carlo Orsi

Alberto Meda in cinque oggetti

17 novembre 2023
Un tavolino di plastica, una bottiglia che purifica l’acqua con l’aiuto del sole, una lampada a LED dal design puro, una seduta inno alla flessibilità controllata e un sistema di pannelli fonoassorbenti che coniugano bellezza ed efficacia. Ma anche: un brevetto depositato a inizio carriera, un prototipo autoprodotto con un giovane collega, il punto di arrivo di un sodalizio pluridecennale e un lavoro a quattro mani tra padre e figlio.
Alberto Meda nel laboratorio Vitra a Weil am Rhein illustra i componenti del sistema Medamorph, 2007, foto di Nicole Bachman, courtesy di Vitra
Alla figura di Alberto Meda, protagonista della mostra che in questo momento occupa la Design Platform di Triennale Milano e che si estende negli spazi della Quadreria e del mezzanino, è stata spesso associata l’etichetta di "designer-ingegnere” o di “ingegnere del design”. Ingegnere, in effetti, lo è davvero, e con tutti i crismi, pur non progettando ponti o grandi opere pubbliche ma preferendo lavorare su scala più contenuta. Laureato in Ingegneria meccanica al Politecnico di Milano nel 1969, allievo di Pietro Locatelli e Leo Finzi, ha assorbito dalle loro lezioni  alcuni elementi che lo hanno accompagnato lungo tutta la carriera. Il progettista nato nel 1945 a Tremezzina, in provincia di Como, ha però molte più frecce al suo arco. In lui la precisione e la conoscenza approfondita dei materiali, delle loro reazioni come dei vincoli che essi impongono, convivono con l’intuizione e con il guizzo creativo. Per raccontare come questi ingredienti si combinino tra loro, ho scelto cinque progetti che corrispondono a diverse fasi della sua attività progettuale e che coincidono con incontri e collaborazioni significative.

Alberto Meda è un ingegnere del design
La prima parte della carriera di Meda, dopo un breve passaggio alla direzione centrale della produzione Magneti Marelli in qualità di assistente, è strettamente legata alla Kartell. Nei sei anni in cui lavora nell’azienda fondata da Giulio Castelli con l’obiettivo di sperimentare nuovi usi della plastica in ambito domestico come direttore tecnico, tra il 1973 e il 1976, brevetta un procedimento innovativo che sfrutta la coazione, cioè la capacità dei materiali di agire l’uno sull’altro guadagnando solidità e resistenza. Il prodotto, un tavolino per esterni, non viene realizzato rivestendo un pannello di truciolato con un foglio di laminato plastico, come si usava a quei tempi, bensì colando il poliuretano espanso direttamente in uno stampo plastificato. La collaborazione con l’azienda di Noviglio è proseguita in seguito con i progetti di Meda per oggetti come l’appendiabiti Hanger (2001) o la lampada Aledin (2016, con il figlio Francesco).
Alberto Meda, Francesco Meda, Aledin Dec e Aledin Tec, Kartell, 2016, courtesy Kartell
Premiata con l’Index Award nel 2007 e presente nella collezione del MoMA di New York dall’anno successivo, la “bottiglia solare” Solar Bottle è un progetto svincolato da qualunque commissione industriale e portato avanti insieme al designer argentino Francisco Gomez Paz, allora appena trentenne. Si tratta di un contenitore in pvc di forma piatta (utile in fase di trasporto e di stoccaggio) che sintetizza i temi della sostenibilità e tecnologia. Esposta al sole, la bottiglia purifica l’acqua contaminata e la rende potabile grazie a un sistema brevettato da una ditta svizzera, con l’aiuto dei raggi UV-A. Un decennio più tardi, i due designer hanno sviluppato uno spin-off: il Solar Sensor, un sensore riutilizzabile che può essere applicato a qualunque bottiglia di plastica trasformandola in un dispositivo per sanificare l’acqua.
Alberto Meda, Francisco Gomez Paz, Solar Bottle, 2006, prototipo
Insieme a Paolo Rizzatto e a Luceplan, Meda ha scritto una pagina importante della storia dell’illuminazione, culminata con i Compassi d’Oro per le lampade Lola, nel 1989, e per la serie Metropoli e costellata di successi come Berenice (1985), Titania (1989) o Fortebraccio (1998). Mix, progettata nel 2005, ancora con Rizzatto, e premiata con il terzo Compasso d’Oro tre anni più tardi, dimostra che si può fare luce anche senza un elemento che potrebbe sembrare fondamentale, e che però rappresenta un ingombro: la lampadina. La luce bianca emanata dalla lampada deriva infatti dalla sapiente interazione tra LED di diversi colori, un accorgimento che le permette di sfoggiare una testa supersottile. 
Alberto Meda, Paolo Rizzatto, Mix, Luceplan, 2005, foto di Ivan Sarfatti
La seduta da ufficio Physix, sviluppata nel 2012 e messa in scena all’interno della mostra in una delle “macchine sceniche” studiate da Riccardo Blumer in modo da sottolinearne la complessità, è uno dei frutti migliori della collaborazione tra Meda e Vitra perché bilancia in maniera efficace prestazioni ed estetica. Tutto, o quasi, si gioca sull’elasticità del tessuto hi-tech usato come rivestimento, una flessibilità che però deve poter essere gestita alla perfezione per consentire alla sedia di allungarsi in posizione di relax e poi di tornare in posizione verticale con un movimento controllato. Per supportare, e sopportare, lo stress meccanico, le parti che compongono la seduta sono realizzate con percentuali differenti di fibra di vetro.
Studio degli angoli di movimento di seduta e schienale, Physix, 2011, foto di Florian Böhm, courtesy di Vitra
Physix, 2011 foto di Marcus Gaab, courtesy di Vitra
Il sistema di pannelli fonoassorbenti in poliestere riciclabile Flap (2016) porta lo stesso nome di una componente mobile delle ali degli aerei che cambia la sua inclinazione durante le varie fasi di volo. La capacità di ruotare in tutte le direzioni e assumere inclinazioni diverse grazie a uno snodo particolare è fondamentale anche in questo progetto, sviluppato a quattro mani da Meda e dal figlio Francesco per Caimi Brevetti. Qui due approcci differenti, quello più tecnico-funzionale del padre e quello più grafico del figlio, laureato allo IED — Istituto Europeo di Design, convergono dando vita a un oggetto che risolve il problema dell’inquinamento acustico negli ambienti chiusi e allo stesso tempo permette di creare tantissime combinazioni grazie all’accostamento di singoli moduli colorati a forma di quadrilatero irregolare. Un altro Compasso d’Oro, il quinto su sei complessivi.
Alberto Meda, Francesco Meda, Flap ceiling (versione da soffitto), Caimi Brevetti, 2013, foto Interno20, courtesy Caimi Brevetti
Veduta della mostra, foto di Gianluca Di Ioia