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Triennale Milano
Adriano Bolognino, Come neve, foto di Lorenza Daverio

Eroine anti-eroine

22 aprile 2024
Negli spettacoli di FOG Performing Arts Festival abbiamo incontrato personaggi femminili con storie dagli esiti tragici e dai passati tempestosi. Destini drammatici, racconti di lavoro e fatica, amori totalizzanti e devoti che sfociano in atti estremi di sacrificio. Chi sono queste donne, e quali sono le loro storie?
Le storie sono pericolose perché, se ben raccontate, eclissano l’Io: non nel senso che lo cancellano, ma lo assorbono e lo deglutiscono nell’esperienza collettiva della performance. Le storie, scrive Jonathan Gottschall, non sono altro che modi accattivanti di strutturare un’informazione: una narrazione dice sempre qualcosa sul mondo, reale e auspicato, distorto e tragicamente veritiero. A teatro questo è ancora più vero: si mostra ma non si dice, contando sulla riappropriazione da parte dello spettatore e sulla drammatizzazione emotiva.
Muta Imago, Tre sorelle, foto di Lorenza Daverio
Muta Imago, Tre sorelle, foto di Lorenza Daverio
Scorrendo le storie di donne raccontate nell’edizione 2024 di FOG Performing Arts Festival di Triennale Milano, se ne deduce un certo coraggio da parte degli autori e delle autrici nell’affrontare profili femminili dagli esiti tragici e dai passati tempestosi. Ci sono destini drammatici legati alla violenza e allo stupro, racconti di lavoro e fatica, amori totalizzanti e devoti che sfociano in atti estremi di sacrificio.
Si pensi alle spose di Carolina Bianchi, alle pazienti mani delle tessitrici di Adriano Bolognino, alla Salomè rivisitata, alle tre sorelle cechoviane e alla Berenice di Racine. Personaggi lontani dalla santità materna e principesca dell’eroina della narrazione tradizionale, queste donne non vivono buone storie e non hanno la pretesa di insegnare niente: alimentando il bias di negatività insito nella struttura psicologica narrativa, generano potenziali anomie, non hanno ambizioni edificanti. Contrariamente all’ethos classico delle storie che servono a compattare la comunità, in queste narrazioni le eroine sono potenzialmente antisociali: tigri, non principesse. Mordono, distruggono, tagliano e si lamentano. E poi, ricostruiscono pazientemente i ricordi passati e le tradizioni ereditate, assemblano i resti con fare magico perché spinte, contrariamente da quanto accade nella lirica o nell’epica classica, da un irrefrenabile istinto di sopravvivenza.
Carolina Bianchi, Trilogia Cadela Força – Capitolo I La Sposa e Buonanotte Cenerentola, foto di Christophe Raynaud de Lage
Carolina Bianchi, Trilogia Cadela Força – Capitolo I La Sposa e Buonanotte Cenerentola, foto di Christophe Raynaud de Lage
Dunque, raccontare storie è uno strumento dirimente per ristrutturare le narrazioni sul sé e su coloro che sono percepiti come simili: per questo, le antieroine di FOG sovvertono il bene e il male, aggirano l’ethos e non chiedono empatia, rivendicando tanto l’amore quanto l’odio. Per le donne stuprate in Brasile, la virtù o il perdono sono un lusso. Per la giudaica Salomè, danzare significa rivendicare il libero arbitrio rispetto all’identità ereditata di figlia. Ci sono il lavoro artigianale paziente e la manifattura che, in senso hegeliano, fanno della mano non lo strumento ma l’attività stessa dello spirito. Ci sono Ol'ga, Maša e Irina, le figlie putative di Elettra, che rivendicano il diritto allo struggimento e all’insoddisfazione. E Berenice che nell’urlo vuole essere vista, che nel pretendere una risposta esige il riconoscimento della propria voce.
madalena reversa, Salomè, foto di Lorenza Daverio
madalena reversa, Salomè, foto di Lorenza Daverio
Le donne di FOG sono esposte come solo le creature di puro e indomabile amore sanno essere, dove amore è in verità gioia sfrenata di vivere secondo le proprie regole, in un mondo disciplinato e normato da altri. Non sono “ragazze perbene”, sono riottose e rumorose, hanno un pensiero spietato ma arioso, sono capaci di ironia, di essere artefici di vita e nichiliste al tempo stesso. Piangono anche se hanno il trucco sciolto e i vestiti ammaccati; lo scomporsi del loro corpo perlaceo, il ridursi in pezzi con fare volontaristico, è disturbante e distorce il racconto che fino a quel momento è appartenuto ad altri.
Romeo Castellucci, Bérénice. Da Jean Racine, foto di Alex Majoli
Romeo Castellucci, Bérénice. Da Jean Racine, foto di Alex Majoli
In questa simulazione narrativa germoglia un principio di verità, per decostruire il modello in cui il femminile viene sempre agito: invece, anche nel patimento, il mostruoso elettrico femminile dichiara la propria soggettività. Anche nell’accettazione e nel sub-ordine, Irina e Berenice e Salomè restano, resistono ed esistono: mendicando amore, scalfendo le prassi costituite, reagendo allo sfacelo. Sono “le cattive”, le volpi, le passere e le lupe, edonisticamente schiave del desiderio e consapevoli di esserlo, e sul palco le si vedono scongiurare e sedurre, regnare e soccombere.
Adriano Bolognino, Come neve, foto di Lorenza Daverio
Adriano Bolognino, Come neve, foto di Lorenza Daverio
Le storie sono pericolose, ma anche necessarie e dirompenti perché possono aiutare a ritrovare l’Io perduto. Sono le nuove storie di donne antieroiche, tigri e non principesse, che per FOG penetrano il “mondo opaco” fatto di perdite e incontri effimeri: nostalgicamente li conservano uno per uno, quegli incontri, quei ricordi. Fieramente ci piangono sopra. Infine, danzano, per quel principio innato nel femminile che è l’Ergriffen-Sein: l’esperienza di estetizzazione di qualsiasi corpo guidato da un pathos, l’elaborazione coreografica istintiva di un sentimento.